Annientamento: destinati all’autodistruzione!
Un potente bagliore misterioso generato da un faro è il fulcro di quella che gli scienziati chiamano Area X. La biologa Lena (Natalie Portman) aspetta con ansia il marito Kane (Oscar Isaac) di ritorno dalla spedizione militare all’interno della zona sconosciuta: è l’unico sopravvissuto ma cade presto in preda a convulsioni causate da emorragie interne. Il soldato viene ricoverato nell’ospedale militare per comprendere le cause del suo malessere. Dopo un incontro con la dottoressa Ventress (Jennifer Jason Leigh), Lena decide di far parte di una nuova missione all’interno di quel luogo avvolto da un alone di ambiguità. È un evento religioso? Un’invasione aliena? Un’altra dimensione?
Al suo secondo lungometraggio, Alex Garland si spinge oltre rispetto a Ex Machina, incentrato sul rapporto uomo/macchina, poiché Annientamento è un’opera ambiziosa che ruota attorno alla relazione tra uomo e natura, di come l’uomo si senta spesso superiore ad essa, convinto di poterla esaminare in tutte le sue sfaccettature attraverso la scienza. Lo spettatore, in realtà, col passare dei minuti intuisce quanto i personaggi si sentano sempre più impotenti, spaesati e confusi all’interno di una rigogliosa foresta: la natura di quel luogo annulla ogni pretesa umana legata all’ossessione della conoscenza, della comprensione, della verità. Il bagliore che si dipana nell’aria sembra rendere la natura in grado di rimescolare le cellule, trasformare geneticamente corpi umani, flora e fauna.
Annientamento è tratto dal primo romanzo di Jeff VanderMeer che compone la trilogia dell’Area X, un film che può essere scomposto e suddiviso, proprio come le cellule che studia la nostra biologa Lena, in differenti generi cinematografici: dall’horror, al dramma, al thriller, sostenuto da una struttura a flashback in cui viene approfondita la relazione tra Lena e Kane. Un adattamento ben congeniato che rende Annientamento uno dei più interessanti titoli di fantascienza degli ultimi anni.
Seppur il film si impegni a rinnovare il genere, non nasconde palesi riferimenti alla cinematografia di fantascienza del passato: la natura selvaggia ricorda l’incipit di Solaris e le ambientazioni di Stalker di Tarkovskij, la creatura animalesca trae spunto dalle opere dell’artista svizzero Giger (storico collaboratore agli effetti speciali di Alien di Ridley Scott).
Opera intellettuale, filosofica e scientifica dove l’uomo si ritrova a fare i conti con il proprio corpo e la propria spiritualità. Materia e anima, scienza e filosofia, sono facce della stessa medaglia, si influenzano di continuo, poiché la psiche umana sembra andare nella stessa direzione rispetto alla componente materiale di cui siamo fatti («L’invecchiamento è un errore genetico» sussurra Lena a suo marito): così come il nostro corpo si distrugge anche la nostra psiche è sottomessa dagli impulsi primordiali di annientamento, di autodistruzione.
Il concetto scientifico di sdoppiamento delle cellule come base della creazione di ogni forma materiale sulla terra si collega al tema del doppio, della crisi identitaria che si concretizza soprattutto nelle battute finali. Ed ecco che ogni cosa sembra perdere valore di fronte a tale visione nichilista che ritrae un’umanità ossessionata dalla ricerca di una verità che non esiste. Il genere fantascientifico ancora una volta si eleva a metafora per rivelare le profondità dell’individuo – dove personaggi esplorano luoghi ignoti orientati a svelare i propri universi interiori – destinato al conflitto con l’ambiente esterno, con gli altri e soprattutto con sé stesso.
Magnifiche e suggestive le sequenze all’interno dell’ambiente inesplorato, un luogo immerso in una natura selvaggia, scontrosa, inquietante tanto quanto affascinante. Effetti speciali virtuosi e allucinatori, ma mai troppo invasivi. Intense e convincenti le prove di tutto il cast, con una menzione speciale alla dolente Natalie Portman.
Il film lascia spazio a moltissime interpretazioni. A tratti potrebbe essere considerato un’opera incompleta che pecca di concretezza nel dare alcune risposte fondamentali. D’altro canto, Annientamento è da apprezzare così com’è: un’opera sospesa dove le domande e lo stato confusionale sono linfa vitale.
A cura di Matteo Malaisi