Atlantique: come onde di notte sulla spiaggia

“Ada, a lei appartiene il futuro. Sono io Ada”.

Si conclude così il primo lungometraggio della regista Mati Diop, di origini senegalesi e nipote di Djibril Diop Mambéty, uno dei maggiori esponenti del cinema africano. Atlantique è infatti un inno al futuro di chi resta quando gli altri emigrano verso l’Europa, spesso con esiti tragici.

Il film affronta questa fondamentale tematica sociale e politica con delicatezza, introducendo anche elementi magici attraverso i quali viene restituito il senso di incompiutezza che attraversa tutta la vicenda: i ragazzi annegati in mare tornano infatti sotto forma di una maledizione che di notte si impossessa dei corpi delle loro ragazze rimaste a casa. Tra queste c’è Ada, promessa sposa di un uomo che non ama, carattere forte, profondamente legata a Souleiman, partito per cercare fortuna via mare.

La loro impossibile storia d’amore diventa il pretesto per raccontare le conseguenze dell’emigrazione giovanile e della disuguaglianza sociale in un Senegal che è oggi in piena crisi democratica. La regia mescola quindi uno sguardo quasi documentaristico con suggestioni poetiche e fantastiche, che si distaccano dalla realtà, rendendo i sobborghi di Dakar dei luoghi abitati da fantasmi e presenze spettrali senza una meta, ma con la necessità di fuggire.  Ada resiste, cerca di farsi spazio in un mondo che ancora non la contempla e che lei non comprende fino in fondo.

La sua storia è affrontata con uno sguardo personale e attraverso una fotografia emozionale che ben restituisce il senso di un altrove, una sospensione luminosa che circonda i personaggi e li rende evanescenti. La d.o.p. Claire Mathon (vincitrice del premio César per Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma) distingue infatti tra un giorno secco e oppressivo e una notte lirica e istintiva.

Nella scena finale, dopo il compimento del desiderio, è di nuovo mattina e Ada si specchia ma in realtà non guarda sé stessa. Guarda noi e reclama il proprio spazio, il proprio futuro nel mondo. Ed ora è anche compito nostro ricambiare quello sguardo.

A cura di Emma Onesti