Big: il ritorno della periferia romana
Tra i registi della capitale la periferia romana ha qualcosa di malinconico e magico. Molto spesso è utilizzata come sfondo per le loro opere: si vedano Garrone, Caligari, i fratelli D’Innocenzo e il capitolino di adozione Pier Paolo Pasolini. Ma se per il friulano il discorso è più complesso, in quanto ultimo grande artista della nostra storia, capace di spaziare dal romanzo alla pittura, dalla poesia al cinema, per gli altri si possono trovare tanti elementi in comune: il primo è appunto il richiamo ad Accattone; poi la mancata possibilità di elevazione sociale dei protagonisti, la loro condanna a vivere alla giornata e infine il destino di essere considerati la feccia della società. Anche sul piano cinematografico ci sono diversi punti di vicinanza: il richiamo neorealista, il mare sullo sfondo, il vernacolo romano a sottolineare la totale mancanza di educazione dei personaggi.
Daniele Pini, regista (non a caso) romano, nato nel 1987, nel cortometraggio Big riprende molte peculiarità già viste e le condensa in 12 minuti. Matilde, la protagonista, vive con lo zio, che la maltratta pesantemente, offendendola e, in alcuni casi, alzando anche le mani. Lei, tutti i giorni, si dirige in spiaggia con un metal detector per cercare qualche tesoruccio nascosto da vendere poi in un banchetto. Chiaramente si rimediano pochi soldi, ma le alternative scarseggiano. Tuttavia, i soprusi dello zio iniziano a varcare più volte il limite e, quando questo succede, chiunque, anche un’anima pia come Matilde, trova il modo di vendicarsi.
La denuncia sociale è piuttosto marcata: ormai sono passati 50 anni dall’uscita di Ragazzi di vita prima e di Accattone poi, ma il sillogismo sembra non essere cambiato di una virgola: se nasci nelle borgate, le vie di uscita rappresentano lo 0,1%. È chiaro che una personalità introversa come quella di Matilde ha più possibilità di essere sopraffatta dalle difficoltà della vita. Se, per esempio, la paragoniamo ai due protagonisti di Non essere cattivo (ultimo film di Caligari), Vittorio e Cesare, questi sono più propensi a diventare criminali e a sfogare il loro disprezzo verso la società tramite la rabbia e la delinquenza. Tuttavia, Pini vuole comunque fornirci un elemento di speranza con Luccio, l’amico che ogni giorno si precipita da Matilde e che, in termini danteschi, si definirebbe “figura” della speranza di cambiare. Non a caso, è l’unico a cui Matilde rivolge la parola.
La fotografia è ben fatta: l’utilizzo delle luci indica la presenza di un tecnico capace, e infatti il contrasto tra colori, in particolare di sera, dove spicca l’intensa illuminazione da interno nei volti dei protagonisti, è ben orchestrato. C’è anche tempo per un sapiente utilizzo della suspense: quando Matilde fa un ritrovamento importante, il regista ci fa capire la straordinarietà del momento solo dalla sua espressione, senza rivelare l’identità dell’oggetto. Anche il lento e inesorabile avvicinamento dello zio allo zainetto è un capace gioco di tensione, che, per quanto breve, fa incuriosire lo spettatore.
Big è un cortometraggio ben eseguito: il regista è riuscito a gestire i tempi ristretti facendo provare allo spettatore emozioni contrastanti. Tantissimi autori, è bene ricordarlo, hanno iniziato il loro percorso con questi tipi di produzione, Sorrentino su tutti. Sarà anche per Daniele Pini il preludio a una grande carriera?
A cura di Alessandro Randi