Blonde: una stella cadente sul cielo di Hollywood

Le stelle sono destinate a brillare in un cielo nero di solitudine; brillano sole, distanti. La luce delle stelle arriva sulla terra molto tempo dopo. La stella che vediamo potrebbe essere già morta. È questa forse un po’ la storia della grandissima Marilyn Monroe, nome d’arte di un’anima tenera e gentile, battezzata Norma Jeane.

Blonde è un film struggente di una stella che si spegne; una stella cadente che si schianta sul tetto di Hollywood provocando un boato disturbante, seguito da un fuoco che comincia ad ardere lo spettatore (come ci viene suggerito probabilmente dall’incendio nei primi minuti del film). Sono queste un po’ le palpabili sensazioni veicolate da Blonde.

Andrew Dominik dà vita a un progetto ambiziosissimo. Il regista aveva già dato la prova del suo immenso talento con lo splendido film de L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (2007), il quale diede modo al monumentale Brad Pitt (ora produttore di Blonde) di restituire quella che in tanti conclamano come l’interpretazione migliore della sua carriera. Anche in questo caso, il regista sceglie un grande topic coerente con la sopracitata pellicola: la fragilità umana.

Sarebbe un terribile errore confondere Blonde con un film biografico da prendere alla lettera: Blonde è una sorta di favola Black, un miscuglio di realtà e finzione perfettamente coese grazie alla regia consapevole, esteticamente rigorosa e splendidamente eccessiva di Dominik. Norma cresce con una madre psicopatica e alcolista e un padre assente, ed è chiaro come questo quadretto familiare distruttivo sia il più grande dolore che si porterà dietro fino alla fine dei suoi giorni. L’architettura stilistica messa in scena è un sublime esempio di padronanza estrema del mezzo cinematografico, da non confondere con mero auto-esibizionismo.

Norma non era un sex symbol; Marilyn Monroe forse sì: costretta dall’industria del cinema e presa in considerazione per fare la parte della bionda sexy, oggetto del desiderio di tutti. Quello che Norma rivedeva sul grande schermo di un cinema era tutto fuorché sé stessa. Un cinema che per lei non era finzione, era pura falsità: due cose ben diverse. È incredibilmente evidente come Blonde riproduca la mefistofelica mercificazione dell’arte; l’atroce sopruso di un corpo; la demoniaca procedura dell’industria del business che rende un’attrice merce e prodotto a disposizione di chi è disposto a pagare caro. Sublime la scena in cui Norma, seduta sulle poltrone di un cinema durante la premiere di un suo film, piange, mentre il pubblico sfoggia un sorriso ebete: non si riconosce nell’immagine di sé stessa, in quell’immagine falsa e costruita che piano piano divorerà la sua vera anima fragile.

In maniera più sottile, ma pur sempre violenta, anche Cass Chaplin approfitterà di lei, della sua bellezza e della sua voglia d’amore, inducendola a spogliarsi e ad ammirarsi davanti allo specchio, facendo sentire colpevoli anche noi spettatori, testimoni di quel corpo stupendo: la superficiale buccia del nostro frutto più succoso che è la nostra anima. Clamorose le scene del ménage à trois che vengono espresse attraverso immagini destrutturate, allucinatorie, quasi liquide, così avvolgenti; in cui le immagini del letto in cui i tre si librano felici vengono sovrapposte a quelle di una cascata voluminosa, dove l’acqua che sfocia diventa simbolo dell’estremo godimento.

Impressionante il disagio, lo strazio esistenziale di un’anima usurpata della sua gentilezza, della sua voglia di amare, d’affetto mancato, in primis dall’infanzia; una perpetua bambina eternamente alla ricerca di un suo “Daddy”, figura paterna che ricerca ovunque, anche nei suoi partner. Non esiste distrazione che il divismo, il successo e il denaro possano realmente dare per sostituire una mancanza, un dolore recondito, il bisogno urlato d’amore. Norma subisce la condanna dei padri quasi come una tragedia greca eschiliana: lei che non è stata voluta dal padre è destinata a non metter alla luce un figlio dopo i plurimi aborti spontanei e naturali.

Ana de Armas restituisce una prova attoriale senza precedenti: di rado capita di riuscire come d’incanto a riportare in vita non soltanto un personaggio esistito, ma soprattutto un’esistenza così tangibile e reale, al punto che sarà difficile, nel momento in cui ci capiterà di veder un film interpretato dalla vera Marilyn Monroe, non rivedere un po’ Ana de Armas.

Blonde è un film che ha diviso molto pubblico e critica. C’è chi grida al capolavoro e chi lo definisce un film misogino che spiattella tutta la sofferenza di una star alle prese con una società maschilista. È quasi insostenibile rimanere accanto a Marilyn per tre ore senza soffrire, senza rimanere abbagliati e impotenti di fronte a una fragilità che doveva essere preservata. È difficile non rimanere ammaliati e stupefatti da una tale sensibilità completamente dimenticata, invisibile. Come se il bel corpo, quell’arma letale che fu il suo successo e la sua condanna, divenne per Norma il velo denso che nascondeva il suo legittimo bisogno di essere una persona normale.

A cura di Matteo Malaisi