John Keats, poeta di un amore sconfinato
Le verdi e rigogliose campagne londinesi sono la culla della fiorente borghesia inglese di inizio Ottocento. Fanny, indipendente e dal carattere schietto, a tratti impertinente, è la primogenita della famiglia Brawne Lindon, ricca casata rimasta orfana del capostipite. La passione per la moda la accompagna alla scoperta dell’arte del cucito e gli abiti che confeziona, ricama ed indossa sono il biglietto da visita della sua creatività.
L’incontro che stravolge la vita di Fanny avviene tramite il facoltoso Charles Brown ed il suo amico e protetto, il giovane letterato – in quel momento ancora sconosciuto – John Keats. Quest’ultimo, orfano di entrambi i genitori, deve provvedere al fratello minore gravemente malato di tisi. Il ragazzo, che oggi ricordiamo come un affermato poeta e paroliere, al momento dell’incontro con Fanny non gode di alcuna fama, vive senza alcuna rendita e dipende in tutto e per tutto dall’amico Brown, individuo dalla personalità ruvida e spigolosa. Il carattere forte e autoritario di Charles si scontra inevitabilmente con quello di Fanny, sfociando in una profonda tensione, alimentato dall’orgoglio della ragazza. Nessun attrito personale può, però, in alcun modo frenare il profondo attaccamento che entrambi nutrono per il giovane e tormentato John.
Jane Campion vuole raccontare la vera storia d’amore, intensa e travagliata, tra John Keats e la sua amata e musa ispiratrice Fanny Brawne, cercando in ogni modo di rievocare la passione, lo spirito, il romanticismo e la dolenzia delle opere del grande poeta inglese. Non si può in alcun modo contestare la trama, fedele rappresentazione della testimonianza storica, al contrario si deve riconoscere alla regista neozelandese il grande merito di esser riuscita a raccontare il rapporto tra i due giovani rifuggendo dal rischio di annoiare visti i melensi presupposti che un dramma di questo tipo inevitabilmente porta con sé.
Seppure il ritmo narrativo sia piacevole e apprezzabile, al contrario, dal punto di vista formale e strutturale, la regista ha abusato di un repertorio stereotipato che alterna tentativi di rendere algidi gli ambienti nei quali quest’amore contrastato nasce e si sviluppa a momenti dove si sfocia in una sorta di frenato barocchismo. Un film riuscito, moderno e ardito nella fotografia ma ancorato ad uno stile sfarzoso e inutilmente ingessato nella narrazione. Interessante e avvincente più per la sua natura biografica che non cinematografica, Bright Star appare come un compito ben svolto e sicuramente godibile, seppur lontano dall’insuperato Lezioni di piano.
A cura di Alessandro Benedetti