Nel labirinto delle tartarughe: Buñuel racconta Las Hurdas

Sotto lo sguardo severo di suo padre e davanti a un giovane pubblico in fermento, il piccolo Luis aveva ideato un primo rudimentale film grazie a una lanterna magica: due viaggiatori di carta si avventuravano per «l’Isola sconosciuta» tra mantidi religiose gigantesche e aracnidi fuori misura. Quasi trent’anni dopo «il re del surrealismo» si sarebbe fatto anch’egli esploratore imprimendo sulla pellicola la miseria de Las Hurdas.

Salvador Simó realizza un documentario d’animazione tratto dalla graphic novel Buñuel en el laberinto de las tortugas di Fermín Solís e racconta la storia del regista aragonese che ritrova lo slancio creativo dopo un forte periodo di crisi e gira Terra senza pane (1932) per raccontare la «realtà pura e nuda» dell’Estremadura. Accompagnato dall’amico Ramón Acín e dai due parigini Éli Lotar e Pierre Unik, Buñuel si immerge in una terra di desolazione indagata con spirito da antropologo. I quattro intellettuali coi nasi a punta e i maglioni a collo alto sembrano quasi stonare in questa cornice popolata da anime semplici, abbruttite dalla povertà e con il volto solcato da rughe profonde.

È un mondo fatto di violenza, dove la crudeltà nei confronti degli animali filmata da Buñuel trova continuità nel senso di morte che aleggia in questi villaggi dalle strade labirintiche e dai tetti che ricordano i gusci delle tartarughe. E questa ferocia non trova requie nemmeno nei sogni del regista, da cui emerge il rapporto conflittuale con la figura paterna, in ricerca di continua approvazione, e quello con Dalì, con cui sembra essere in una competizione senza fine.

È un mondo fatto di violenza, la stessa che avremmo trovato di lì a poco anche nella guerra civile spagnola. Tra le tante vittime vi fu anche Ramón Acín, l’amico di Buñuel e produttore di Terra senza pane. Fu fucilato dalle milizie franchiste insieme alla moglie e il suo nome venne cancellato dal documentario per un’impietosa damnatio memoriae. Ramón aveva creduto in Buñuel e aveva finanziato la sua opera di denuncia sociale. Quando negli anni Sessanta il grande regista tornò a presentare il proprio documentario reintegrò il nome di Ramón e consegnò l’incasso alle sue due figlie. Quel vecchio debito che aveva nei confronti dell’amico fu in un certo senso saldato. E anche la sua memoria non sarebbe svanita fra quella degli innocenti caduti in guerra.

A cura di Mattia Rizzi