La vita: una commedia scritta da un sadico
Il primo amore non si scorda mai, i sogni sono sogni e la musica jazz è sempre una buona scelta. E in effetti è proprio il jazz il vero protagonista di questo film: romantico, malinconico, spensierato, estremamente versatile, perfetto per un bicchiere di vino tanto quanto per un martini dry.
Il jazz – notoriamente amato dal regista – è onnipresente, ci accompagna per tutto il film prendendoci per mano e mostrandoci quanto la vita sia imprevedibile e meravigliosamente banale. Quando arriva a Hollywood, Bobby è un giovane newyorkese pieno di sogni che non ha ancora ben capito chi è e chi vuole diventare; qui, sotto il sole della California, conosce il suo primo amore, Veronica detta “Vonnie”. La vuole sposare, portarla a New York, ma lei sceglie il suo capo: Phil Stern, agente delle star del cinema, zio di Bobby e amante di Vonnie già da tempo. Ironia della sorte, era stato proprio lui a presentarla al nipote.
Il jazz, il cinema, il cliché amoroso: in questa prima metà di film c’è già abbastanza Woody Allen, ma lui ci tiene a portare anche la riflessione sulla vita, ennesima sua cifra stilistica. E così, Bobby affranto e col cuore spezzato se ne torna a New York, inizia a lavorare nel night club di suo fratello e pian piano fa decollare il locale, facendolo diventare il punto di riferimento per lo svago notturno della “cafè society” newyorkese.
Sono passati anni dall’esperienza in California, Bobby è un uomo affermato, si è sposato – ironia della sorte – con una donna di nome Veronica, da cui ha avuto una bambina. I sogni della California non ci sono più, sostituiti dalla realtà della vita: una situazione esistenziale, quella dei sogni giovanili che finiscono per lasciare il posto ad una vita diversa da come ce la si era immaginata, che la fotografia rimarca in modo sublime. Le luci e i colori pieni di vita e di energia di Hollywood lasciano il posto alle atmosfere soffuse, notturne e cupe di New York. Anche la musica cambia, il jazz perde il ritmo allegro e diventa più lento, malinconico, sofisticato.
E poi, all’improvviso, torna il passato, e al night club si presenta Phil accompagnato da una Vonnie profondamente cambiata. Eppure, nonostante i cambiamenti, nonostante gli anni, le emozioni passate tra lei e Bobby lasciano ancora qualche traccia. Assistiamo così ad un riavvicinamento tra i due, timido, riservato, limitato. Non ci sono pazzie d’amore o dichiarazioni gridate al mondo; c’è piuttosto un forte sentimento mescolato al ricordo di un tempo che è finito e che non può più tornare. Nessuno dei due stravolge il proprio matrimonio per rincorrere un amore del passato, a cui viene concesso soltanto un veloce bacio.
Eppure, il film si chiude, probabilmente, con i due protagonisti lontani che pensano l’uno all’altra. “La vita è una commedia scritta da un sadico che fa il commediografo”, dice Bobby quando rivede Vonnie. Il cinismo nichilista tipico di Woody fa capolino in questi dialoghi, dove “l’amore non ricambiato uccide in un anno più gente della tubercolosi”, “anche nessuna risposta è una risposta” e se “vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo un giorno ci azzeccherai”.
Café society è una commedia, esattamente come la vita secondo Bobby, e in effetti Café society ci racconta proprio la storia di una vita. Una vita come tante, dove i sogni giovanili si ridimensionano in un’esistenza diversa da quella che ci si aspettava, e dove il primo amore lascia emozioni tanto forti da durare per sempre. Nella storia di Bobby tutti si possono riconoscere, perché tutti hanno un ricordo che ogni tanto affiora dal passato riportando a galla emozioni sepolte. Ma sono ricordi lontani, che non possono trovare spazio nella vita di oggi se non in pochi intimi momenti ritagliati ed estrapolati dalla realtà. Perlomeno, ci si può sempre consolare col jazz:
«Le piace la musica jazz?»
«Alle due del mattino?»
«A qualunque ora del mattino!»
A cura di Margherita Ceci