Carne trémula: un’esasperazione della passione umana?

Madrid, gennaio 1970: sotto un cielo che si sta per avviare alla transizione democratica con la fine della dittatura franchista, la capitale spagnola mette al mondo Viktor, il cui animo palpitante e la cui carne viva ricordano quella di chi aveva partecipato alla guerriglia antifranchista. Viktor, così come Helena, David, Clara e Sancho, è figlio di Madrid, e giocando con la personificazione della città come «madre» dei suoi abitanti si capisce perché la carne dei  protagonisti sia «trémula», quindi fremente: le loro vite travagliate si intrecciano in un groviglio di sentimenti, animate da passioni vissute all’ennesima potenza; allo stesso modo la capitale, sul finire del regime franchista, si prepara a diventare nuovamente vibrante, mostrando i primi cambiamenti verso una società consumistica.

Siamo esseri umani e, in quanto tali, siamo dotati di un cuore che batte al ritmo dei nostri sentimenti. Siamo fatti di passioni ed emozioni, ma questa pellicola di Almodóvar, ispirata liberamente al romanzo di Ruth Rendell «Live Flesh» (1986), fornisce una visione molto più cruda e infuocata di questa condizione, sfiorando spesso il limite dell’esasperazione. Tuttavia, il limite non viene mai valicato: Almodóvar si ferma prima e sapientemente offre uno squarcio lucido su dolorose realtà ancora oggi troppo attuali. Questo lo spettatore lo percepisce e, come in un vortice, è rapito dalle emozioni dei protagonisti, magistralmente interpretate da un cast di ottimi attori; il tutto su musiche spagnoleggianti che accompagnano le scene come le cornici di magnifici dipinti. La passione, tema centrale di questa pellicola, è percepibile attraverso il colore rosso che domina le scene, da sempre associato all’amore bramoso e ardente; a ciò si aggiungono i dialoghi istintivi e privi di filtri dei personaggi, il linguaggio non verbale dei corpi e le inquadrature estremamente fisiche. Questa passione, che quasi perfora lo schermo come una forza incontrollabile e irrefrenabile, è però sapientemente bilanciata. Innanzitutto, la pellicola inquadra due diversi tipi di passione, ossia la passione ossessiva e la passione amorosa. Lo spettatore coglie questa distinzione e non si lascia ingannare dalle forti emozioni provate dagli attori. Inoltre, il papabile erotismo che si crea tra giochi di sguardi e avvicinamento di corpi durante alcune scene non sfocia mai nell’esaltazione del sesso, e quindi della passione, fine a sé stesso; al contrario, delinea alcune condizioni umane. È il caso, ad esempio, dell’unione fisica di due corpi che condividono un amore puro e che cela la speranza di una nuova vita, in contrapposizione a relazioni tossiche, ossessioni amorose e atti violenti nei confronti della donna (commessi nel film come «scusanti» di una passione amorosa incontrollabile). Tutto avviene con uno sguardo lucido su Madrid, spezzata in due realtà contrapposte che si fondono insieme grazie alla passione dei suoi abitanti. La città non fa mai da sfondo, bensì è parte integrante e vibrante del film stesso. L’equilibrio risiede quindi nel fatto che questi temi sono percepiti dallo spettatore senza esser offuscati da una mera «passione impetuosa» fine a sé stessa. L’ipotesi di una critica all’«esagerazione» deve quindi essere rigettata, gli eccessi possono e devono essere letti come omaggio del regista al cinema grottesco di Luis Buñuel.

Siamo esseri umani e, in quanto tali, siamo portati talvolta a ripetere i medesimi errori. Il dolore, la sofferenza e la morte rimangono ciò che di più inevitabile possa esserci nelle nostre vite, ma come ci insegna Almodóvar alla fine della pellicola la vita è sicuramente la passione più irrefrenabile. Nella scena conclusiva, che assume le vesti di un messaggio di speranza rivolto a una nazione intera, una frase che delinea una rinascita rispetto ai tempi passati interrompe il vento impetuoso di passioni-ossessioni che ha soffiato nel corso del film: «Guarda il marciapiede, qua fuori è pieno di gente. Quando sono nato io non c’era un’anima per strada. La gente stava rintanata in casa, se la faceva sotto dalla paura. Per fortuna figlio mio è da tanto tempo che in Spagna non abbiamo più paura».

-A cura di Sofia Quadrelli