Coma – Chi siamo quando nessuno ci guarda?

Chi siamo quando nessuno ci guarda? Come reagiamo all’isolamento forzato? Quali immagini, proiezioni, paure popolano la nostra mente, quando questa ha sempre le stesse quattro pareti a cui riferirsi? Bertrand Bonello adopera l’orizzonte sospeso del confinamento pandemico per comporre una dedica alla figlia, ad una generazione intera e, infine, al futuro del nostro mondo tappezzato di immagini.

Anna è un’adolescente che trascorre le sue giornate nello spazio chiuso di casa sua, un recinto socialmente invalicabile ma psicologicamente morbido e poroso, in cui i sogni e i mostri della giovane si insinuano mescolando il reale al magico, il concreto all’abisso surreale del pensiero. Quella di Anna è una discesa agli inferi della solitudine, nel tempo potenziale e sospeso del lockdown, che qui è preso come pretesto per orizzontare un mondo postumo, sopravvissuto a sé stesso, alla morte delle relazioni collettive.

Lo sguardo originale, sghembo, mai accomodante a cui Bonello ci ha abituati negli anni, ha spesso colto l’essere umano in relazione alla fine, alla posizione ulteriore rispetto al presente, a un sentimento crepuscolare che potremmo definire post-moderno: una fine esistenziale ma non biologica che costringe l’individuo a confrontarsi coi fantasmi dell’esistenza più piana e abituale. Ma qui, lo spazio-tempo alienato del lockdown, è sia un funerale che una rinascita, un contesto redivivo, sopravvissuto ma ancora da ridefinire.

Il corpo adolescente di Anna è l’emblema di un’istanza incontenibile e indecifrabile, proprio come il dialogo imperterrito tra conscio e inconscio, reso dall’affastellamento delle forme espressive più diverse, in cui sguardo oggettivo e soggettivo si compenetrano e confondono: stop-motion, sorveglianza, video-call, animazione, nitidezza e sfarinatura materica dei pixel.

La mente della giovane astrae lo spazio, mette in discussione la monotonia dell’abitudine e la sua fantasia scuote una realtà sempre uguale. Una fantasia che oggi sembra non poter prescindere dal mezzo digitale, dalla rifrazione degli schermi, dalla riproposizione di slogan e luoghi comuni rimediatizzati. Ad esempio, la guru-influencer Patricia Coma assume i tratti di una creatura paradossale che sosta tra la posizione della narratrice e quella dell’oggetto narrato. I suoi contenuti assurdi e surreali, il suo eloquio cupo e solenne, il suo sguardo in macchina serio e definitivo, non sono che false interlocuzioni, ma anche l’unico controcampo possibile nell’isolamento, una coscienza mediatica che si infiltra nel sogno e nella realtà della giovane.

Parla a una generazione che sembra condannata alla ripetizione o, alla meglio, a costruire la propria identità nei sottili e soffocanti interstizi rimasti vuoti nel grande muro delle immagini che copre il mondo. Una saturazione visiva che contagia l’interiorità della protagonista, un eccesso di immagini che da una parte veicola l’impossibilità di accedere al reale senza filtri e mediazioni, ma dall’altra fa palpitare le inquadrature, creando narrazioni, favole e miti dall’abitudinario, come se non ci fosse limite alle potenzialità espressive del cinema e della nostra mente.

Nel limbo dell’isolamento, nello spazio interstiziale tra il “non più” e il “non ancora”, lo sguardo si confina e la nostra immaginazione diventa una tetra soap opera plastificata di cui siamo autori e sceneggiatori, ma anche soggetti in balia di una sorveglianza dall’alto, misteriosa e impersonale.

Bonello firma un ritratto onirico eppure squisitamente terreno; uno spazio misto, liminale, suggestivo e abbacinante, rivelando il silenzio che fa da controcampo domestico a una call di gruppo. Il rischio dell’isolamento è quello di vincere sempre ad un gioco senza regole, di non esporsi a un rischio, che, una volta uscita e liberata, sarà il tratto connotativo della vita di una intera generazione, tra l’apocalisse e l’urgente e speranzosa necessità di un rinnovamento collettivo. 

A cura di Matteo Bonfiglioli