Ai comandi
Ad aprire l’ottantesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia non è stato il film scelto e inizialmente comunicato Challengers di Luca Guadagnino. L’affermazione precedente è ai più nota, anche per via della tematica scottante dello sciopero oltreoceano di attori e sceneggiatori, ed è però premessa inevitabile di una riflessione che deve essere politica, come d’altra parte politica è la scelta del sostituto, ovvero Comandante di Edoardo De Angelis.
Il film, con protagonista Pierfrancesco Favino, ricostruisce l’azione di Salvatore Todaro, capitano di corvetta della Regia Marina, che il 16 ottobre 1940 si trovava ai comandi del sommergibile Comandante Cappellini. La missione dell’imbarcazione diventa repentinamente prima affondare, al largo dell’Atlantico, il piroscafo mercantile belga Kabalo, che aveva aperto il fuoco su di loro; salvo poi decidere di recuperare con fatica i sopravvissuti ripescati in acqua.
De Angelis scrive e dirige una vicenda scelta accuratamente per eroicizzare (più che storicizzare) la figura di Todaro e, più in generale, una parte minima della Marina italiana durante la Seconda Guerra Mondiale e sotto il governo fascista. L’immagine che apre il film presenta l’inquadratura sulle gambe di un uomo che sta precipitando in mare, la citazione visiva va all’onirica apertura di Fellini in 8 e mezzo e tuttavia non produce più di una suggestione. Nella prima parte del film conosciamo infatti in maniera abbastanza serrata presente, passato e futuro (attraverso presagi sibillini) del Comandante, tra donne, ferro e vestiti di alta sartoria. Il prosieguo si focalizza invece sul Kabalo e le conseguenze politiche e morali dietro al suo affondamento.
Se il comparto tecnico (in particolare il sonoro) convince e resta credibile nonostante un uso insistito in regia della sfuocatura per coprire la limitatezza di mezzi disponibili per gli effetti digitali, convince molto meno la sceneggiatura che non lascia spazi di riflessione ed abusa dell’espediente del voice over. La scelta di raccontare la storia di Todaro e l’esempio di umanità che il suo gesto rappresenta è di certo lodevole, ma l’operazione condotta tradisce in più punti la sua apparente bontà di scopi.
Assistere alla narrazione bonaria e leggera dell’attacco, anche se legittimo, di matrice fascista a una nave battente bandiera belga, condendo l’accaduto con rimandi all’italianità, alla superiorità della cucina nostrana e ad elementi di folclore come l’immancabile mandolino, stride con una vicenda decisamente cupa e drammatica, al di là della bandiera di appartenenza. In passato film come Joyeux Noël di Christian Carion erano sicuramente riusciti ad elevarsi sopra le Nazioni in guerra andando a riscoprire l’uomo dietro il soldato, ma Comandante, per temi e tempi di uscita, sembra davvero giocare sul filo del rasoio.
L’opera artistica è sempre difendibile, la strumentalizzazione velata dell’umanità di una vicenda storica no. Allo spettatore il compito di discernere l’una e l’altra dimensione, ricordando che, in questo caso più che mai, occorre sottolineare che il cinema in quanto arte è legato indissolubilmente ai tempi che lo hanno generato.
A cura di Andrea Valmori