Cromosoma X: un viaggio a metà

Durante una pausa, tre colleghi si scambiano commenti maliziosi sulla nuova assunta. Infastiditi da un gruppo di protesta femminista stanziato fuori dal loro palazzo, aprono la finestra e una molotov rosa viene gettata dentro l’ufficio. Uno di loro, colpito dal fumogeno, inizia uno strano e terrificante viaggio onirico. Forte di una prima esperienza illuminante, la regista di Cromosoma X realizza un’opera paradossale, in cui la sferzante sottigliezza delle immagini si scontra con l’ingombrante fisicità della parola.

Lucia Bulgheroni aveva realizzato nel 2018 il suo primo corto in stop-motion. Una prima volta folgorante, nove minuti di frenesia, per dare libero sfogo alla propria vena artistica e a tutte le sue ispirazioni. Inanimate era un inno all’animazione, in cui le potenzialità del mezzo riuscivano ad essere sfruttate con grande intelligenza: cura ai dettagli degna di una grande produzione; estroso utilizzo fisico di elementi astratti, normalmente “disegnati” sulla pellicola; perfetta contestualizzazione di un mondo chiaramente fittizio, grazie all’uso per contrasto di immagini reali; potere evocativo lasciato quasi interamente alla componente visiva. Evidenti le riprese a Tim Burton o all’animazione di Charlie Kaufman, al quale si può certamente ricondurre il tessuto cerebrale dietro il film.

Cromosoma X è indubbiamente figlio di Inanimate, che sembra superare in tutti gli ambiti. Rimane la fresca dinamicità che lega gli ambienti del corto, il quale però vive di una maggiore fluidità nell’animazione. Ben più accentuati gli echi burtoniani, che nella prima parte della sequenza onirica risultano ampliamenti visibili nella costituzione della città e dei suoi abitanti, chiari riferimenti ad A Nightmare Before Christmas e a La sposa cadavere. A simulare l’esperienza del sogno è anche la concatenazione degli scenari e la loro costruzione: interessante l’utilizzo di materiali variegati per l’animazione, tra scene diverse ma anche all’interno dello stesso quadro.

A troncare la realisticità del sogno, o meglio dell’incubo, è la costante presenza della parola. La totale potenza delle immagini – ampiamente dimostrata con Inanimate – viene smorzata dalla voce narrante, che si frappone tra il contenuto e lo spettatore. Quello che, normalmente, dà valore a ciò che vediamo durante il sonno, è la distanza da percorrere che separa il sognatore dal sognato: è l’interpretazione, più meno complessa, del momento onirico, che lo rende così evocativo. Allo stesso modo, la narratrice impedisce la comunicazione più diretta e impressionante del contenuto, portando lo spettatore a focalizzarsi su una – seppur meravigliosa – facciata esterna, ad arrestare la demonizzazione delle figure, lasciandoci sulla soglia del mero del prestigio tecnico.

Da un lato, Cromosoma X è una prova di grande talento e, in particolare, data la giovinezza artistica della regista, di una spiazzante “naturalezza” nella costruzione di scenari straordinari per la loro efficacia comunicativa. Dall’altro, è proprio un peccato di gioventù a tenere ancorato il film, forse il timore di non essere abbastanza chiaro. Si tratta di una di quelle opere, riuscite a metà, che valgono comunque la pena di essere viste, aspettando che l’autrice trovi ulteriore confidenza e ci delizi con i suoi prossimi lavori. Magari, come si vocifera, con un lungometraggio.

A cura di Alessandro Cricca