Aspettando Dalì

Una cascata d’acqua blu esce da un pianoforte a coda, senza un motivo apparente o senza una logica. La prima inquadratura di Daaaaaalì ci mette subito in guardia: abbandonate ogni speranza di trovare un senso, lasciatevi travolgere da una storia che una storia non è, perché non ha capo né coda.

Una giornalista alle prime armi, ex farmacista, decide di intervistare Salvador Dalì. Tra sogni, incidenti e capricci, l’intervista non accadrà mai. Prima in un hotel, poi in una spiaggia, la giornalista prova e riprova a scrivere il suo pezzo senza riuscirci, per un motivo o per un altro.

Incontriamo Dalì nel corridoio di un hotel: un corridoio infinito, fuori da ogni logica. Quando sembra che si avvicini a noi, il corridoio si allunga ancora di più, lasciandoci sospesi nell’attesa. Eccentrico, narcisista e poliedrico, Dalì è come appare. Oppure no. Per metà film ha un volto solo, poi invecchia, ringiovanisce, cambia viso o abiti. L’unica caratteristica che di lui rimane sono i baffi, marchio di fabbrica dell’artista spagnolo.

Daaaaaalì non è un biopic, non è una storia, sfugge ad ogni classificazione, ad ogni possibilità di incasellarlo entro una terminologia specifica. Non è la storia di Dalì, è la sua essenza: quando crediamo di aver trovato un senso logico nel susseguirsi delle scene, ecco che tutte le nostre ipotesi vengono smentite, ritrovandoci in un sogno dentro ad un altro sogno. Più che onirico è surreale, non c’è un inizio e neanche una fine: una delle prime scene è in realtà parte della conclusione, ma al tempo stesso non esiste.

Restano, tuttavia, alcuni elementi ricorrenti: alcuni personaggi, come un cowboy, un vescovo e l’intervistatrice ed alcuni oggetti, che siano una pistola o un quadro amatoriale, ci salvano dal rischio di impazzire.

Quentin Dupieux gioca con lo spettatore, lo prende in giro e lo porta in una storia estenuante, sperimentando finché gli è possibile. Il film non dura molto (parliamo di appena 80 minuti), ma è perfetto così com’è: una lunghezza maggiore sarebbe troppo per chiunque, tra tableaux vivants, salti in avanti ed indietro, false piste e finte fini.

Daaaaaalì è, come il suo protagonista, un film che si ama o si odia. Le regole canoniche del cinema tradizionale, se così dobbiamo definirlo, vengono del tutto ignorate in questo film, che riesce ad rappresentare correttamente l’unicità di un artista fuori dalle righe.

A cura di Claudia Maria Baschiera