Django Unchained: il primo western di Tarantino
Il 12 settembre 1964 usciva, in un’insospettabile sala cinematografica fiorentina, il film Per un pugno di dollari di Sergio Leone. Girata in Spagna con uno sconosciuto Clint Eastwood, la pellicola fu realizzata con un budget irrisorio, dal momento che l’unico a credere veramente nelle sue sorti era Leone, mentre i produttori non ne capivano il senso. Poi, piano piano, le voci girarono, i ventenni dell’epoca si sussurravano all’orecchio che in una sala sperduta davano un nuovo film molto avvincente, e dopo un mese il lungometraggio era proiettato in tutti i maggiori cinema del paese, rimanendovi per ben un anno e mezzo.
Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, per la precisione a Knoxville, in Tennessee, una donna, rimasta incinta del (modesto) attore Tony Tarantino, metteva al mondo un piccolo pargolo con un mento sproporzionato, di nome Quentin. All’età di sei anni, il piccolo venne accompagnato dalla madre a vedere Bambi, film d’animazione che segnò profondamente la sua esistenza, facendolo piangere per ore e ore. Trasferitosi a Los Angeles, dopo aver passato qualche giorno dietro le sbarre per aver rubato due libri, l’adolescente Tarantino non sapeva da che parte farsi. I soldi erano pochi, di studiare non se ne parlava e l’unica certezza era il cinema. Quelle due ore davanti allo schermo mostravano a Quentin il mondo intero, dalla Parigi del suo amato Godard, al profondo oriente dei samurai di Kurosawa. Entrando e uscendo da una piccola videoteca di Los Angeles, chiamata Manhattan Beach Video Archives, il gestore, sull’orlo della bancarotta, si rese conto di quel giovane brufoloso che si fumava tutte le videocassette in vendita. Non potendosele permettere, Quentin le guardava direttamente nel piccolo teleschermo del negozio. Un giorno si avvicinò a lui, e Tarantino, con la sua logorroica parlantina, iniziò a spiegargli quanto fosse fondamentale Mario Bava per la storia del cinema. Dopo circa quindici minuti di monologo, il proprietario del negozio lo fermò e gli chiese se volesse lavorare come commesso. Quentin, in quel momento alla canna del gas, accettò.
Ventinove anni dopo, Tarantino è diventato il regista più popolare del suo tempo. Ha vinto un Oscar per Pulp Fiction, ha dominato Cannes ogni volta che si è presentato, ma soprattutto ha cambiato la storia del cinema. Tuttavia, una cosa a lui molto cara è rimasta fuori dalla sua filmografia: il genere western. Lui, il più grande fan di Sergio Leone e dello Spaghetti Western italiano, dopo una carriera ventennale, non ne aveva ancora girato uno. In una lontana intervista aveva ammesso: “Il film che per la prima volta mi ha fatto pensare in modo cinematografico è stato C’era una volta il west, perché è diretto e orchestrato così bene che quando lo guardi riesci a capire come Leone è riuscito a farlo, per come usa l’inquadratura, per come le persone escono da sinistra ed entrano a destra. Il cinema è tutto lì, perciò quell’opera mi ha dato un’idea più tangibile di ciò che fa un regista”.
L’idea per il film si manifestò nel 2007, quando, all’ennesima visione del Django di Sergio Corbucci, Tarantino, un po’ come Archimede, balzò dalla poltrona urlando: “Ho trovato!”. Il tema sarebbe stato la schiavitù nel Sud degli Stati Uniti e il protagonista Jamie Foxx, con cui Tarantino litigò per le prime due settimane di riprese, poiché, a suo dire, Foxx recitava in maniera troppo “borghese”, senza rendersi conto della disperazione vissuta dal suo personaggio.
In più, si ripropose il solito vizio di Quentin, cioè quello di lavorare con le persone di cui era innamorato quando era un bambino. Impossibilitato nell’immaginare un film western senza la musica di Ennio Morricone, il regista si mise in contatto con il maestro che compose le musiche per il film. Si tratta di una novità per il cinema tarantiniano, visto che, anche per sopperire all’assenza di budget dei primi film, Quentin aveva sempre “rubato” musiche da altre opere. In più, Tarantino chiamò Franco Nero, il “vero” Django di Sergio Corbucci, per un cameo favoloso, in cui i due Django si incontrano, o meglio scontrano, e hanno una discussione filologica sul loro nome: “La D è muta”.
Detto ciò, Tarantino, come al solito, ruba ma non copia. Django Unchained non poteva esistere senza Sergio Corbucci e Sergio Leone. Tuttavia, nulla è stato plagiato, il film è tarantiniano fino al midollo: si pensi solo alla spassosissima gag dei suprematisti bianchi che litigano per i sacchetti; o al momento in cui il personaggio interpretato dallo stesso Tarantino si fa esplodere, senza un apparente motivo; o ancora alla sparatoria splatter nella casa di Calvin Candie. Quella di Django è una vera e propria Odissea attraverso l’America, alla ricerca dell’amata Broomhilda. Ma, tutto sommato, anche questa è una citazione presa dal grande Leone, il quale affermava: “Io credo che il più grande sceneggiatore del mondo sia Omero”.
A cura di Alessandro Randi
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