Dogman: la rivincita dei deboli
Douglas (Caleb Landry Jones) è un giovane che nasconde un passato colmo di dolore e sofferenze. Costretto su una sedia a rotelle, a causa di una menomazione fisica, si ritrova a vivere circondato dai suoi amati cani che per sua opinione hanno un solo difetto: «Si fidano troppo degli esseri umani».
Luc Bresson, dopo anni di scivoloni artistici, riesce a restituire l’audacia delle opere degli anni ’90, come il suo gangster movie Léon (1994), e una quadra stilistica più efficace e ben congegnata rispetto ai precedenti, realizzando un film mainstream che ha tutte le carte in regola per un buon successo di pubblico. La costruzione narrativa ricca di flashback regge e tiene incollato lo spettatore allo schermo. A partire dal suo arresto, di cui i motivi verranno svelati solo nel finale, scopriamo il passato di Douglas attraverso i colloqui con una psichiatra con cui entra in empatia, proprio perché sono due personaggi che hanno qualcosa di fondamentale in comune: il dolore.
È proprio questo il grande tema che vuole affrontare Dogman: la rivincita dei deboli che hanno sofferto e che dal dolore trovano la forza per redimersi e per elevarsi moralmente come figli di Dio. La parabola cristologica, infatti, oltre che nel finale, viene resa evidente nella scena straziante in cui Douglas bambino, rinchiuso dal padre nella gabbia dei cani, legge al contrario uno striscione e ribalta la scritta “In the name of God” in “In the name of Dog”. D’altronde, il film si apre con una citazione emblematica: «Ovunque ci sia un infelice, Dio gli invia un cane».
Nonostante alcune esagerazioni di troppo legate alla messinscena delle violenze subite da Douglas da parte di un padre violento e brutale, stile e contenuto del film contribuiscono a restituire un’atmosfera dark spettacolare che non può non farci pensare a Joker di Todd Philips. Perciò, anche Dogman emoziona e ci fa empatizzare con il suo eccellente protagonista: un (anti)eroe che deve farsi giustizia da solo, infrangendo la legge, malgrado la sua enorme sensibilità, l’estremo desiderio di sentirsi amato e la voglia di affermare la propria identità.
La prova di Caleb Landry Jones è davvero impressionante, profondissima e toccante. Douglas esibisce travestimenti da drag queen, scoprendo sé stesso grazie alla passione per il teatro e per la musica (la colonna sonora di Éric Serra merita una lodevole menzione) e trovando finalmente un posto di rilievo su un palcoscenico da cui esprimersi pienamente.
Dogman vuole farci riflettere ancora, in maniera intelligente e mai banale, sull’importanza vitale dell’arte, sul potere immenso che essa porta con sé, capace di mostrare il riflesso migliore della nostra immagine.
A cura di Matteo Malaisi