Dramma della gelosia (tutti i particolari in critica)  

Un calcinculo in mezzo alle macerie, Monica Vitti che balla in un vestito bianco a fiori masticando un chewing gum, anelli di totani fritti e pizze a forma di cuore: il melodramma popolare di Scola affronta gli anni ‘60 con finezza ed ironia. A Roma, tra la spazzatura e la lotta politica, si consuma un triangolo amoroso che ha già tutte le caratteristiche tipiche della regia matura del suo autore. Si tratta di un racconto costruito su più strati temporali e visivi, narrato dai suoi stessi personaggi: Oreste (Mastroianni), muratore romano, Adelaide (Vitti), giovane fioraia con “la tempesta nel cuore”, e Nello (Giannini), pizzaiolo toscano. Cosa accade quando tra i tre si insinua una gelosia ossessiva?

La sindrome di Otello è qui rappresentata dal ronzio del moscone che sentiamo continuamente intorno al personaggio di Oreste: la mosca diventa il simbolo dell’impurità, dei pettegolezzi e della colpa. L’uomo viene infatti accecato dal tormento fino a perdere il senno e a compiere un delitto, enunciato fin dalle prime inquadrature. Adelaide, invece, cerca di fronteggiare la situazione facendo appello al proprio desiderio di indipendenza, coerente con gli ideali della società sessantottina che sta attraversando, e tentando di conciliarlo con l’indole romantica che la contraddistingue. Passa dallo struggimento interiore degno dei romanzi russi più tragici a una rivendicazione femminista della propria individualità. Sul lettino dello psicanalista si interroga sulla sua incapacità di scegliere e lasciare definitivamente uno dei due amanti: “Di che natura è il mio male? Ho avuto un trauma? Sono sotto shock? È un disturbo neurovegetativo? O è perché sono mignotta?” È infatti la sua voce che fin dalla prima sequenza ci racconta l’accaduto, mentre le malinconiche musiche di Armando Trovajoli accompagnano le immagini attraverso ricostruzioni, testimonianze e flashback. Ci chiede se abbiamo mai amato o sofferto per amore e perché restiamo a guardare come i passanti curiosi per la strada. Ma noi continuiamo a guardare perché questa tagliente commedia esprime senza fronzoli le dinamiche disfunzionali e irrazionali della coppia e dell’amore, che sono sempre più attuali.

Sfruttando il classico ménage à trois (il film esce otto anni dopo Jules e Jim di Truffaut), Scola ci porta a riflettere proprio sulla difficoltà di trovare alternative al sistema della coppia che induce molto spesso a insoddisfazioni. Ad un dramma, per l’appunto; quello della modernità tipico delle commedie all’italiana, che guardano alla società dell’epoca con sorrisetti sarcastici e amari. Cinquant’anni dopo cos’è cambiato?Sicuramente non la cronaca né i sentimenti umani, ma nemmeno la forma narrativa e la struttura del film risultano troppo invecchiate agli occhi di uno spettatore contemporaneo. Ed è proprio la commistione tra un dispositivo di messa in scena decisamente particolare e il ricordo di un’Italia del passato a rendere questa commedia indimenticabile.

A cura di Emma Onesti