Drive: estetica nel tempo
Los Angeles Clippers contro Toronto Raptors, intervallo. In Drive, il vero protagonista è da subito il tempo. È il tempo scandito dalle parole al telefono di Ryan Gosling, dalla telecronaca alla radio, dalle lancette dell’orologio da polso, dalle ricetrasmittenti della polizia, è il tempo misurabile e oggettivo dei mezzi di comunicazione. La sequenza iniziale ha l’esatta durata di un quarto cestistico, un crescendo di tensione che ci porta inevitabilmente lì, alla sirena finale sostituita dalle sirene della polizia. Ed è a questo punto che parte Nightcall di Kavinsky, accompagnandoci sopra una Los Angeles notturna e silenziosa che vediamo tingersi del rosa pastello dei titoli di testa.
Nicolas Winding Refn si diverte a giocare con lo spettatore attraverso le immagini: dopo averlo visto prender parte a una rapina, il pilota ci appare vestito da agente di polizia salvo poi scoprire subito che si tratta di uno stuntman. Il regista danese sceglie la Los Angeles dei bassifondi, delle controfigure costruendo tra le sue mille strade un protagonista dal duplice volto. Vediamo più e più volte il riflesso di Gosling, dal trucco e parrucco del set all’immancabile specchietto retrovisore dell’auto. In casa di Irene (Carey Mulligan) vede la sua immagine collidere con quella di padre (Oscar Isaac) e figlio, iniziando a provare sensazioni che aveva pensato di non poter più vivere o che forse non aveva mai vissuto. In fin dei conti non sappiamo nulla di lui, ma le parole non servono perché, come per la ragazza, il suo sguardo è eloquente.
Le auto sfrecciano sull’asfalto e le lancette sembrano fermarsi, i due tempi di Drive sono i due tempi del suo protagonista. Da un lato il tempo interiore delle lunghe uscite notturne, il tempo passato con Benicio e quello dedicato alle riparazioni, dall’altro la violenza, la pochezza dell’uomo, la necessità di sopravvivere. Il ralenti si alterna all’azione sfrenata e sanguinaria culminando nella scena dell’ascensore, il momento in cui la trasformazione da Dr Jekyll a Mr Hyde è più repentina. Refn non si limita a giocare con la dimensione temporale, bensì la estetizza mescolando le variazioni ritmiche alle luci di una fotografia impeccabile. Lampioni, semafori, insegne a led, ogni riflesso è perfettamente calcolato in immagini che si stagliano sul volto impassibile di Gosling. Una regia precisa e virtuosistica capace di creare momenti di grandissimo cinema tra falsi specchi, sguardi in macchina e l’impalpabile scambio di coltellate tra ombre sull’asfalto rovente.
Il finale, come le parole del protagonista, richiama alla favola della rana e dello scorpione. La nostra vera natura non può essere cambiata ed è così che, ritornato a respirare, il pilota non può che rassegnarsi all’impossibilità di un futuro che non sembra appartenergli. Dopotutto è di nuovo, solamente, questione di sfortuna.
A cura di Andrea Valmori