Pinochet: dittatore, fascista e vampiro

Senza la sua arrogante divisa sembra quasi irriconoscibile. Eppure è proprio Augusto Pinochet, il militare che nel 1973 rovesciò il governo presieduto da Salvador Allende in Chile. È invecchiato: alcune macchie gli segnano il volto; indossa una tuta sportiva e calza un paio di Nike. Vive reietto ai confini della sua terra, in una casa fatiscente con le assi del pavimento divelte e le pareti decorate tristemente. È una monade solitaria che condivide l’esilio con una moglie egoista e un servo poco devoto. Ogni tanto incontra i suoi cinque figli, dissoluti opportunisti a caccia di un’eredità forse inesistente. A questo microcosmo fatto di individualismo e sofferenze, va aggiunta anche un’ambigua suora-esorcista, reclutata da una delle figlie del generale per scacciare il demonio dal corpo del padre.

Sì, perché oltre ad essere un dittatore criminale e fascista, il Pinochet di Pablo Larraín è pure un vampiro succhia-sangue, celebre creatura del folklore slavo che divenne popolare soprattutto durante il corso del Settecento. Non a caso il Pinochet del regista muove i suoi primi passi proprio durante la Rivoluzione francese, attraversa due secoli e arriva fino al Cile degli anni Settanta. Ora in preda a una crisi esistenziale, il vampiro-dittatore sembra intenzionato ad abbandonare il privilegio della vita eterna: resterà fedele ai propri intenti?

Il Pinochet di El Conde è una creatura della notte che abita gli incubi dei cileni ed è ancora in grado di divorarne i cuori: «I vampiri non muoiono, non scompaiono, e nemmeno i crimini e le ruberie di un dittatore che non ha mai affrontato la giustizia» – ha affermato il regista, già autore di Tony Manero (2008), Post Mortem (2010) e No – I giorni dell’arcobaleno (2012). E tuttavia, mostrando per la prima volta la brutale impunità che Pinochet rappresenta, il generale viene finalmente messo sotto processo. Con la sua operazione dissacrante, Larraín si inserisce nel solco della tradizione cinematografica della satira che, da Il grande dittatore in avanti, trova nella commedia nera lo strumento migliore per denunciare la follia del potere. E il generale non è l’unico ad essere colpito dagli strali affilati del regista, che mietono vittime anche altrove, dai protagonisti di un certo conservatorismo politico ai membri di una chiesa arraffona e amorale. Per non parlare del gustosissimo coup de théâtre della pellicola, ennesima stilettata ben assestata, che è bene non rivelare a chi non ha ancora visto il film.

Uscito a cinquant’anni esatti dal golpe con cui Pinochet prese il potere, El Conde è una dark comedy in bianco e nero allucinata e grottesca; un giusto monito – come ricorda il regista – «del perché la storia debba necessariamente ripetersi, per ricordarci quanto le cose possono diventare pericolose».

A cura di Mattia Rizzi