Enzo Jannacci: «E allora sarà ancora bello»

«Jannacci, arrenditi! Sei circondato! Vieni fuori dall’edificio e rientra nel sistema!». Enzo Jannacci – Vengo anch’io, presentato Fuori Concorso al Festival di Venezia, inizia con una canzone perfetta per descrivere un irregolare come il cantautore milanese.

È difficile infatti condensare in un film la vita, l’identità e la personalità di uno degli autori più originali della musica italiana. Dopo essersi diplomato al conservatorio e aver preso la laurea in medicina, Jannacci entra presto in contatto con i giovani protagonisti della nuova scena milanese. Nel 1958 fonda con l’amico Giorgio Gaber il duo I corsari: nella foto di lancio della Dischi Ricordi sono secchi e allampanati, bellissimi nei loro vent’anni. Il debutto da solista arriva nel 1964 e il suo primo album ha un titolo programmatico: La Milano di Enzo Jannacci. La topografia, la gente e la lingua milanese, infatti, costituiranno spesso l’ossatura delle canzoni del cantautore: che fosse la Milano distrutta dalla guerra o quella marginale di Lambrate, la Milano popolare delle case di ringhiera o quella scintillante dei locali notturni, il capoluogo lombardo è stato centrale nella produzione comico-artistica del cantante.

Il documentario di Giorgio Verdelli – come dichiara lo stesso regista – «non è una biografia di Enzo Jannacci, ma un’esplorazione del suo mondo», fatto di amici, allievi e colleghi, che lo ricordano ancora con tenerezza e affetto. Gli aneddoti si rincorrono l’uno dopo l’altro e ciascuno restituisce un’idea diversa del cantautore proteiforme: Roberto Vecchioni, tra i sedili in legno di un tram, lo definisce l’unico grande genio musicale italiano; Paolo Rossi, dietro un tavolo di un’osteria dell’Ortica, lo ricorda come un padre e un fratello. È inevitabile, però, che le parole più commosse siano quelle del figlio Paolo, a cui mancano la voce del papà, che faceva vibrare le anime, e la possibilità di poter sorridere con lui dei guai della vita.

Improvvisatore jazz, genio imprevedibile, lucido anticipatore dei nostri tempi, Enzo Jannacci sta stretto dentro qualsiasi definizione gli si dia: buffone dissacrante come Fo, poeta colto come Conte o interprete poliedrico come Gaber? Una risposta definitiva non può e non deve esserci. Ciò che resta sono le esibizioni irripetibili, la teatrale presenza scenica e l’ironia stralunata, il tutto dietro la montatura spessa dei suoi occhiali da vista.

A cura di Mattia Rizzi