Essere John Malkovich: la maledizione della consapevolezza 

Un sipario di velluto blu e lo spettacolo di una marionetta che si cimenta in una danza bizzarra. Siamo a teatro? L’illusione svanisce rapidamente: non è una platea ma il laboratorio di Craig, che si è appena esibito con il suo burattino per un pubblico inesistente.

Craig è un aspirante burattinaio che conduce una vita insoddisfacente. Sua moglie Lotte sembra essere più interessata ai suoi animali che alla loro relazione e lui è costretto a rinunciare al suo sogno e a lavorare come archivista in un bizzarro ufficio al settimo piano e mezzo di un edificio, alle dipendenze di un capo arrapato che dichiara di essere arrivato a 105 anni grazie al succo di carota.

La sua esistenza è però sconvolta da due eventi: la conoscenza della collega Maxine, di cui si invaghisce perdutamente, e la scoperta di una porticina di legno dietro a uno scaffale dell’ufficio. A carponi nel fango e con un po’ di timore, Craig si avventura nel cunicolo e ne è ben presto risucchiato all’interno. Dove conduce questo passaggio? “Dentro” John Malkovich. Chiunque percorra il tunnel ha infatti la possibilità di vedere che cosa stia facendo il celebre attore per quindici minuti, per poi essere catapultato dal cielo nei pressi di una via trafficata, poco fuori New York.

La trama del film, scritta da un esordiente Charlie Kaufman, oscilla tra una commedia poco impegnata e un dramma grottesco ed è complicata da quello che dovrebbe essere un tradizionale triangolo amoroso ma che è reso inevitabilmente più contorto dalla situazione paradossale che si trovano a vivere i protagonisti. L’acme dell’assurdo si raggiunge quando lo stesso John Malkovich percorre il tunnel e si trova nel suo inconscio, popolato da gente che ha la sua faccia e che è in grado di pronunciare solo le due parole del suo nome.

Il perno attorno a cui ruota la pellicola è però Craig, l’inetto tormentato da una femme fatale che riesce ad affermarsi, ottenendo la fama desiderata e l’amore di Maxine, solo quando diventa il burattinaio di Malkovich, a cui fa eloquentemente realizzare la stessa macabra danza con cui si era aperto il film: non c’è più differenza tra le marionette di legno del suo laboratorio e il burattino di carne John Malkovich.

Del resto, in una delle prime scene, in un surreale dialogo con la scimmia della moglie, Craig aveva detto che “la consapevolezza era una vera maledizione”. Per sbarazzarsi del suo peso e delle responsabilità che ne derivano, l’uomo aveva deciso di annullarsi completamente, abdicando alla propria identità in cambio di un successo effimero destinato a trasformarsi in una tragedia grottesca.

Quando nel 1923 Massimo Bontempelli pubblicò Eva ultima mise a tema alcuni argomenti centrali nella riflessione del Novecento: è impensabile evadere dal proprio mondo e ogni uomo è una marionetta in balia di forze misteriose. Chissà se aveva ragione. Bisognerebbe chiedere a Craig e a John Malkovich.

A cura di Mattia Rizzi