Un equilibrio precario

Il ditino di Hana indica le piante della foresta innevata. La bambina è sulle spalle del papà Takumi e cerca di identificare gli alberi che ha attorno. Il tenero esercizio di botanica fotografa bene il rapporto tra padre e figlia, costruito su una silenziosa complicità fatta di poche parole. Dialoghi ridotti e ben calibrati scandiscono anche la prima parte di Evil Does Not Exist, l’ultimo film di Ryusuke Hamaguchi, che inizia e procede lento, accompagnato dai suoni del bosco.

Takumi e Hana vivono nel villaggio Mizubiki, un’isola felice nei pressi di Tokyo che sta però per andare incontro a un tentativo di gentrificazione. Un’agenzia di spettacolo ha infatti ottenuto dei fondi dal governo per costruire un glamping di lusso. Oltre ad essere in generale poco inclini all’idea, i cittadini credono soprattutto che la fossa settica della struttura possa inquinare le falde acquifere della zona, compromettendo l’acqua delle sorgenti. Il colloquio che i residenti hanno coi due referenti del progetto è disastroso: la riunione cittadina si trasforma in un verboso fiume di parole che interrompe i lunghi silenzi delle prime scene.

Evil Does Not Exist riflette proprio sul delicato e complesso equilibrio tra uomo e natura, recuperando un argomento centrale in un paese di contraddizioni, diviso fra tradizione e progresso, come il Giappone. Hamaguchi invita anche alla riflessione su temi già propri della filmografia nipponica, dal complicato rapporto con la modernità alla stringente necessità di preservare la natura. Come ammonisce il sindaco del villaggio Mizubiki, infatti, mettere a rischio l’armonia tra l’uomo e il mondo naturale ha delle conseguenze funeste. Non a caso, forse, lungo il corso della pellicola, sono distribuiti alcuni segnali mortiferi e simbolici (rapaci in volo, carcasse di cervi, spine insanguinate) che sembrano presagire una tragedia prossima e inevitabile.

Sorretto dalla eccellente colonna sonora di Eiko Ishibashi, già autrice delle musiche di Drive My Car, il regista premio Oscar racconta con intima attenzione un dramma comunitario caricato sulle spalle di un singolo uomo. Un finale di difficile interpretazione spiazza e lascia interdetto il pubblico, la cui attenzione è costantemente sollecitata. La sequenza di chiusura ci riporta infine a quella con cui si è aperto il film, restituendo un senso di circolarità e ciclicità, proprio come quello che regola la natura. Evil Does Not Exist ci congeda infatti come ci aveva accolto: con uno squarcio di cielo tra una cornice di rami che si allungano l’uno verso l’altro.

A cura di Mattia Rizzi