Exposing Muybridge: il Caravaggio fotografo
La storia di Eadweard Muybridge (per comodità scegliamo l’ultimo dei tanti nomi che ha avuto) rassomiglia alle tante biografie dei personaggi che hanno fatto la storia: egli è infatti tenace, dispettoso, permaloso, possessivo, arrogante e geniale. Il campo in cui ha eccelso e che ha rivoluzionato è conosciuto, tendenzialmente, solo dagli addetti ai lavori, nonostante ognuno di noi abbia, al giorno d’oggi, la possibilità di fruire delle sue invenzioni quotidianamente. Parliamo della fotografia, un’arte in grado di cambiare per sempre la storia umana: non sappiamo realmente che volto avessero Napoleone, Michelangelo o Dante. Dobbiamo affidarci ai loro ritratti. Ma dal 1835, la vita dell’uomo è stata sconvolta da questa nuova possibilità di vedere il mondo. E se il 1835 si può considerare una rivoluzione come l’invenzione della stampa da parte di Guttenberg nel 1453, allora l’influenza di Muybridge nel mondo della fotografia si può paragonare a quella di Aldo Manuzio.
Il merito di Exposing Muybridge è quello di riportare alla luce la storia di questo vero e proprio artista, che non usava né lo scalpello né la penna, ma uno strumento del tutto nuovo, che lui stesso svilupperà esponenzialmente. Il documentario ha un’andatura praticamente cronologica: si parte dalla nascita, avvenuta nel 1830, in un paesino sul Tamigi. Infatti, i Muggeridge (vero nome della famiglia del nostro affezionatissimo) trasportavano carbone dalla periferia al centro di Londra, praticando una di quelle attività tanto utili nell’Inghilterra vittoriana. Ma Edward non era portato per queste attività: nel documentario si racconta di quando, ancora infante, disse perentorio alla nonna: «Mi farò un nome che ricorderanno tutti, o non sentirai mai più notizie di me». Ora, come tante di questi aneddoti, non sappiamo se il virgolettato sia vero, ma sicuramente è verosimile, conoscendo la testardaggine di Muybridge.
A vent’anni molla tutto e va a San Francisco. Farsi Londra-San Francisco a quell’età, nel 1850, non era come farlo adesso. Niente aeroplani, si andava per nave e in condizioni sanitarie eufemisticamente non del tutto ottimali. E, soprattutto, San Francisco non era quella città spettacolosa che è ora: era una landa desolata, dove le strade erano attraversate solo dalle balle di fieno, come nei Western. Tuttavia, il North-West degli Stati Uniti presentava paesaggi incontaminati di una bellezza ineffabile. Il nostro Muybridge li esplora tutti: Utah, Arizona, California, Oregon. Viene addirittura spedito in Alaska, che da pochi anni era stata venduta dai Russi agli Americani, diventando il primo fotografo a ritrarre le famiglie indigene.
Per quanto bravo, però, il suo destino non era quello di fotografare i paesaggi. Il suo genio viene infatti notato da un famoso impresario e senatore statunitense, Leland Stanford, uno di quelli che ha tappezzato gli Stati Uniti di rotaie e ferrovie e che poteva benissimo essere rappresentato in C’era una volta il West di Sergio Leone. Stanford aveva la passione per i cavalli, ma non riusciva a togliersi dalla testa un dubbio che lo teneva sveglio la notte: «Quando il cavallo corre, alza tutti e quattro le zampe o una è sempre a terra?». Lo chiese a Muybridge, a cui dei cavalli fregava ben poco, e l’artista, dopo aver preparato degli intrugli che rasentavano l’alchimia, predispose le macchine fotografiche in ordine davanti a un muro bianco e rivoluzionò il mondo della fotografia, scattando le prime istantanee in sequenza. Poi, con l’introduzione dello zoopraxiscopio, anticipò i Lumière di una ventina d’anni, fornendo, per la prima volta, l’illusione del movimento.
Insomma, con una biografia con elementi che lo avvicinano alla figura di Caravaggio, cioè a un criminale di prima categoria, ma di un livello artistico celestiale, Muybridge influenza ancora oggi registi e artisti. Exposing Muybridge rende omaggio al suo genio, riconoscendone però i profondissimi limiti caratteriali. Ma ricordatevi: tutte le volte che vedrete un cavallo, una persona o un qualsiasi essere animato correre parallelamente ad una telecamera in un film, guardatevi indietro, e toglietevi un immaginario cappello in onore del Caravaggio fotografo.
A cura di Alessandro Randi