Due ragazzi, un’estate, un lago canadese e una baita

Vi ricordate il vostro primo amore? È difficile scordare un momento di passaggio così significativo ed emotivamente impattante come quando ci si innamora per la prima volta di qualcuno. Ci si rende conto che stanno spuntando le farfalle nello stomaco quando si smette di guardare una persona con gli occhi innocenti dell’amicizia e si comincia ad osservarlo con quelli dell’amore. Il mondo circostante assume colori e sapori diversi e sembra quasi di camminare a dieci centimetri dal suolo ogni volta che ci si perde a pensare a quella persona. E, fidatevi, succede molto spesso.

Il protagonista di questo coming of age – il primo film dietro la macchina da presa dell’attrice canadese Charlotte Le Bon, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes dell’anno scorso – è un ragazzino taciturno di tredici anni di nome Bastien (interpretato da Joseph Engel) che si innamora di una ragazza sfrontata e più grande di lui di due anni, Chloé (Sara Montpetit) che lo inizia alle trasgressioni adolescenziali. «Tu conosci troppe cose strane», le dice Bastien, che non riesce ancora a distinguere tra favole e vita vera.

Basato sulla graphic novel A Sister di Bastien Vivès, il film è ambientato nei luoghi del cuore della regista fra la natura incontaminata del Québec, dove la famiglia francese del ragazzo ha scelto di trascorrere le vacanze. Il lago, altro grande protagonista della storia, è un luogo misterioso che si dice sia infestato dai fantasmi. Le oscure leggende, l’atmosfera tetra, l’inquietante colonna sonora composta da Shida Shahabi e il cielo grigio fotografato da Kristof Brandl sembrano suggerire che qualcosa di spaventoso potrebbe accadere in qualsiasi momento e allontanano il film da una semplice storia d’amore. La presenza di questa minaccia invisibile, che incute un certo grado di timore per tutta la durata del film, non impedisce, però, ai due giovani di scoprirsi innamorati. Lui è un adolescente con tutti i problemi che quella particolare fase della vita porta con sé: è privo di fiducia in sé stesso e condannato dal desiderio di appartenere e di essere riconosciuto. Lei, invece, è una ragazza che non vede l’ora di crescere, ma che segue il branco e trascina il suo amico alla scoperta delle sue “prime volte”. Tra divertimenti, feste, alcol e droga, i due sembrano godersi le loro vacanze, anche se non mancano alcuni particolari inquietanti come il ritrovamento di un cervo morto durante il rientro a casa dopo una festa.

Sono i giovani che muovono tutta l’azione. La regista si assicura che le interferenze degli adulti nell’universo dei due adolescenti siano minime. Qualche fugace apparizione, qualche raccomandazione urlata da un fuori campo, ma è evidente che i genitori non siano in grado di comprendere le preoccupazioni dei figli o fatichino a notarne i cambiamenti. Falcon Lake è un film che parla di adolescenti e che può essere compreso da tutti, ma soprattutto da chi non si è dimenticato cosa significhi avere tredici, quattordici, quindici o sedici anni. La scelta di girare in pellicola da 16 mm dona al film quell’aura nostalgica e retrò che permette di far riaffiorare ricordi così belli quanto, spesso, dolorosi. È questo il punto di forza dell’esordio alla regia di Charlotte Le Bon, che con i suoi 37 anni ha saputo comprendere e mettere in scena una tematica tanto sfruttata quanto complicata come quella del passaggio dall’infanzia all’età adulta. Non scontata, poi, è quell’atmosfera da ghost story che fa da sfondo alla narrazione. Perché il mondo esterno fa paura, esattamente come scoprire di non essere più bambini.

A cura di Gloria Sanzogni