First Reformed: come un sassolino nella scarpa può trasformarsi in valanga
L’incipit di First Reformed è molto simile a migliaia di altri film americani: un piccolo paese di onesti lavoratori, una chiesa riformata olandese (che non si sa bene cosa voglia dire, dal momento che gli americani hanno diviso il cristianesimo in così tante succursali che ormai se ne è perso il conto), una fede profondamente radicata tra i cittadini, un reverendo più profondo e più illuminato di altri, che assiste i propri fedeli nei loro momenti di oscurità interiore. Fatto questo elenco, potrebbe sembrare la solita bella storia che ci propina Hollywood. Tuttavia, il grigiore delle immagini, il rapporto 4:3, i movimenti di macchina e fotogrammi degni di un museo di arte contemporanea rendono l’apertura del film unica nel suo genere.
Paul Schrader, il regista, ci mostra cose normalissime, rendendole inquiete. Una chiesa. Un quadro. Una bandiera. Un prete. Tutto avvolto da un’aura macabra. In un giorno come un altro Toller (Ethan Hawke), il reverendo in questione, tormentato dalla morte del figlio, caduto in Iraq, alle prese con un cancro e un leggero alcolismo, viene a conoscenza del calvario di un uomo, marito di una donna frequentante la chiesa, angosciato dall’imminente nascita di un figlio. Il colloquio tra i due, per ammissione dello stesso reverendo, è uno dei più deprimenti, agonizzanti e catastrofici dialoghi mai scritti in un copione. L’uomo, tale Michael Mensana (Philip Ettinger), è un ambientalista finito in prigione in Canada per diverse proteste contro l’inquinamento globale e un depresso misantropo che nella mente, di sano, ha ben poco. Schrader, evidentemente non sicuro dell’impatto dei dialoghi, decide a ragione di posizionare dietro la schiena di Mensana un computer, dove lo screensaver ci mostra il pernicioso innalzamento delle temperature dal 1960 al 2050. Come a dire: ‹‹Se non stai ascoltando, la depressione te la faccio venire lo stesso››. Toller, già in difficoltà per le problematiche di cui sopra, è madido di sudore. L’uomo davanti a lui gli sta dicendo che non ha senso, anzi, è un crimine mettere al mondo un figlio, se questo è il mondo. Rientrato a casa, annota le riflessioni sul suo diario, beve un goccio e si infila a letto, senza riuscire a prendere sonno. Con Mensana ha deciso di chiacchierare una volta al giorno, tutti i giorni, per alzare un po’ l’umore del futuro padre e magari avvicinarlo alla fede. Il giorno seguente però l’uomo non si presenta all’incontro: ‹‹Troppo impegnato al lavoro››, gli scrive. Il giorno successivo, chiede al reverendo di spostare la conversazione da casa sua ad un bosco vicino. Toller si presenta puntuale, ma Mensana è lì in anticipo: fucile a pompa sulla sinistra, cadavere sul terreno, il cervello aperto in due come quello di Kennedy.
Da quel momento, il pensiero del reverendo si radicalizza: se all’inizio doveva essere Toller ad addolcire Mensana, con questo suicidio avviene il contrario. L’uomo di chiesa non comprende come l’essere umano sia riuscito a tradire Dio e rovinare il suo pianeta. Non capisce come si siano raggiunte queste punte di infedeltà e menefreghismo nei confronti dell’unica casa che noi, in quanto umani, abbiamo. Se quello di Mensana era deprimente, lo screensaver di Toller è umiliante: un orso polare in equilibrio su ciò che resta di un ghiacciaio, completamente pelle e ossa e in procinto di morire di fame. Le immagini, nel frattempo, si fanno più oscure: anche le giornate sembrano ricoperte da una velatura notturna. Toller scopre di avere il cancro, ma del suo corpo ormai si disinteressa. Il desiderio di salvare il mondo si trova così in perenne contrasto con l’amara realizzazione che da soli, in fin dei conti, si può ben poco. La realtà materialista che lo circonda lo affrancano sempre di più dalla società. Il film, così nichilista ed estraniante, ricorda molto Taxi Driver, il cult di Scorsese con un magistrale Robert De Niro. Per entrambe le pellicole sembra di assistere alla teoria del piano inclinato: l’umorismo disforico dei due protagonisti è la pallina posta in cima al piano e, per quanto impercettibile sia l’inclinazione, la pallina rotola giù, sempre più in basso, fino a quando non cade, cioè fino a quando non si prendono le decisioni più estreme. Il motivo della vicinanza dei due film è semplice: la sceneggiatura di Taxi Driver fu scritta da Schrader.
-A cura di Alessandro Randi