Giù la testa: il film che non doveva esistere
Perché proprio Giù la testa? Perché scegliere il film di Leone meno conosciuto e meno acclamato? Perché proporre un film che il regista italiano non doveva neanche girare? In primis, proprio perché le recensioni de Il Buono, il Brutto e il Cattivo o di C’era una volta in America di certo non mancano. In secundis, perché vogliamo rendere omaggio anche a questo gioiello, un film capace di trasmettere emozioni forti e toccanti e per dimostrare che, anche quando la produzione di una pellicola partiva in salita, l’accoppiata Leone-Morricone non sbagliava mai.
Giù la testa non doveva esistere: Leone, che voleva dedicarsi completamente al suo più grande progetto, cioè C’era una volta in America, era stato designato come semplice produttore. Tuttavia, le ricerche per un regista andarono subito per le lunghe: la United Artists, casa produttrice della pellicola, aveva indicato Peter Bogdanovich, ex critico cinematografico passato dietro la macchina da presa. Raccontò Leone: “È arrivato all’aeroporto con la sorella che gli portava la valigia, come fosse la sua domestica. Un particolare che mi ha dato una brutta impressione di lui. E quel che è successo dopo ha confermato i miei presentimenti. […] Io e gli altri produttori abbiamo fatto delle proposte, ma Bogdanovich rispondeva solo negativamente: ‘I don’t like it!’. Per giorni e giorni, lo abbiamo sentito respingere in modo sistematico tutto quello che avevamo pensato. Mi stava irritando. A un certo punto gli ho detto: ‘Domani io e gli altri non parleremo più. Toccherà a te. E mi piacerebbe cominciare a dirti I don’t like it’. […] Quando inviai il suo testo alla United Artists, ricevetti un telegramma dagli Stati Uniti: ‘Fate rientrare il sig. e la sig.ra Bogdanovich a New York. In classe economica’”.
Le selezioni proseguirono con Sam Peckinpah, regista de Il Mucchio Selvaggio. Leone, che era suo grande amico, era entusiasta della scelta, ma la United Artists reagì freddamente. Il regista italiano cominciava a non capire. Mancava una settimana all’inizio delle riprese e la troupe era già in Spagna. Il giorno dopo scoprì che i due attori principali, il premio Oscar Rod Steiger e James Coburn avrebbero lavorato solo se diretti da Leone. In particolare, Steiger, che aveva un contratto da settecentocinquanta mila dollari, lo avrebbe abbassato a duecentocinquantamila se il regista italiano fosse stato dietro la macchina da presa. Leone, furioso, partì per la Spagna. Arrivato sul set, prese da parte i due attori e li avvertì: “Molto bene, farò il film. Ma voi non dovrete mai domandarmi la sera prima cosa girerò il giorno dopo. Se lo dirigo io, devo riscrivere tutta la sceneggiatura per avvicinarla al mio universo”. I due accettarono e il film più pazzo del mondo iniziò.
Anche durante le riprese, non andò tutto liscio: Leone non poteva soffrire Steiger, che si atteggiava da prima donna. Ogni scena, per lui, durava trenta ciak, poiché il regista voleva reazioni sincere e non una recitazione scolastica. Secondo Leone, Steiger alla trentesima ripresa era troppo stanco per ricordarsi dei trucchi della scuola di cinema, perciò aveva comportamenti più naturali. I due arrivarono a prendersi a male parole. Una sera, Steiger si intromise dicendo che bisognava rientrare subito se non volevano sforare l’orario lavorativo della giornata. Leone impazzì: “Se io voglio girare ventiquattr’ore di fila, lo faccio. E non mi interessa se ti chiami Rod Steiger e per sbaglio hai vinto un Oscar. Perché tu sei solo un gran pezzo di merda. E puoi andare a farti fottere, tu e la United Artists! Domani ti faccio rimpiazzare, perché come attore non vali niente. Senza i vostri trucchetti, non avrei mai accettato di lavorare con un tipo come te!”. I tre giorni seguenti furono molto tesi: Leone parlava a Steiger solo tramite il suo assistente. Al quarto giorno, i due fecero pace: Steiger chiese scusa a Leone.
Alla fine, il risultato è emozionante. Il cinema di Leone si suddivide in due categorie, parafrasando una delle frasi celebri de Il Buono, il Brutto e il Cattivo: la Trilogia del Dollaro, cinica e antieroica, e la Trilogia del Tempo, malinconica e emozionante. Giù la testa parla di amicizia, un tema ricorrente nella seconda trilogia leoniana. Parla di ideali, o meglio, del fallimento dei propri ideali. Parla di quanto possa essere fugace il tempo e di quanto ci si possa sbagliare nel cercare di inquadrare la propria esistenza. Quanto possono influenzarci le nostre esperienze e i nostri ricordi: quante volte, in un solo giorno, ripercorriamo la nostra vita nella memoria, rendendoci conto degli enormi errori fatti? Quanto può essere imbarazzante e angoscioso riconoscere di aver più volte fallito? Il film contiene parecchi flashback che porgono queste domande, in particolare per Sean, membro dell’IRA. Questo personaggio, rivoluzionario che non crede più alla rivoluzione, rispecchia più di tutti il carattere del regista. Molte volte, Leone ci ha ricordato che la sua generazione ha vissuto molti innamoramenti rivoluzionari poi falliti: dal fascismo al marxismo. Allo stesso modo Sean, fallita la rivoluzione irlandese, capisce la beffa delle promesse sovversive. Sean, così come Leone, ride per non piangere. E la stessa cosa fa la melodia creata da Morricone per il protagonista: “Sean! Sean!”, canta il coro dell’orchestra del maestro. Una canzone sarcastica, malinconica e beffarda, capace di emozionare anche al millesimo ascolto.
A cura di Alessandro Randi