I guerrieri della notte: «Tutti devono sapere che i Guerrieri sono passati di qui»
Le movenze, l’ossessione per la violenza, le armi sempre in mano, il comportamento irrispettoso nei confronti del genere femminile, la logica del branco e il simbolismo sono le caratteristiche che accomunano quasi tutte le gang della storia a prevalenza maschile.
Nonostante un corposo dispiegamento di agenti e forze dell’ordine, i membri dei più importanti gruppi criminali della città si radunano attorno al loro leader per trattare una tregua. «Ci sono ventimila poliziotti, ma noi siamo in sessantamila», scherzano alcuni di loro. Il focus però non è lo scontro polizia-delinquenti, bensì la lotta fra le stesse gang formate da persone che provengono dagli stessi quartieri (Bronx, Coney Island), dagli stessi contesti (classe operaia) e che, se non fossero governati dalla legge del più forte, potrebbero coalizzarsi e chiamarsi tutti amichevolmente “bro”. Purtroppo, però, la città esige che qualcuno la governi, che faccia ordine fra il disordine causato dalle altre gang, che nomini un capobranco e i suoi segugi. A contendersi questo prestigioso riconoscimento ci sono numerosi avversari: i “Warriors” con i loro gilet di pelle, i “Turnbull AC’s” che sembrano degli skin-head, gli “Orphans” vestiti come degli scappati di casa, i “Baseball Furies” con trucco e casacca da giocatore di baseball, i “Punks” con le loro salopette e i loro pattini, i “Rogues” (i cattivi) che sembrano appena usciti da un kinky bar, i “Gramercy Riffs” ovvero i giustizieri e molti altri. Antenate dei moderni “gruppetti” dei licei americani (gli sfigati, i secchioni, gli atletici…), queste gang si differenziano solo per l’estetica e la scelta della divisa. Per il resto, sono tutti governate dalle stesse logiche di potere.
Tratto dall’omonima graphic novel di Sol Yurick, il film di Walter Hill racconta l’odissea del gruppo dei “Warriors” che dal Bronx cercano di tornare a casa a Coney Island sani e salvi. A dargli la caccia sono tutte le altre bande che li accusano (ingiustamente) di aver ucciso il grande leader durante il suo comizio. Fra stazioni della metropolitana e sudicie strade desolate, i nove membri dovranno superare numerosi ostacoli, tra cui poliziotti e giovani donne che li inducono in tentazione (è significativo che in un film così impregnato di cultura machista uno di loro soccomberà proprio alle lusinghe di una ragazza che lo inganna fingendosi disponibile prima di scoprire che è un’agente sotto copertura). Lo stile urban e low-budget rende il film un eccitante e caotico viaggio notturno in una New York che assomiglia più al far west che alla moderna metropoli che conosciamo, dove i cowboys sono sostituiti da giovani con sete di potere che costruiscono le loro armi con quello che trovano in giro: poche pistole e tanti oggetti contundenti ma raffazzonati.
Il film è diventato da subito un cult della storia del cinema, citato in numerose canzoni, film e serie tv successivi (da Kendrick Lamar ai Simpsons). Uno dei rifacimenti più singolari è stato quello realizzato dalla Rockstar Games, che nel 2005 ha creato un videogioco basato sui fatti antecedenti il grande raduno newyorkese con cui si apre il film. La reputazione di cult si può comprendere non solo per la caratterizzazione di alcuni personaggi che animano ancora l’immaginario di numerosi fan in tutto il mondo, ma anche perché le sezioni del film sono interrotte da vignette che passano, senza soluzione di continuità, alle inquadrature con i veri attori, con l’obiettivo di riprodurre visivamente la lettura del fumetto da cui è tratto. Per un lungometraggio a budget ridotto realizzato alla fine degli anni Settanta, è un’impresa degna di nota.
The Warriors è un film che, oltre ad unire più generi (forse il termine più adatto a definirlo potrebbe essere un urban-western), unisce più generazioni con l’unica differenza che, guardarlo con quarant’anni di ritardo, potrebbe provocare qualche sussulto soprattutto per il tipo di linguaggio utilizzato, costellato di termini discriminatori. Se invece che gridare al “politically correct” contestualizzassimo la visione al periodo in cui è stato girato, forse, ce lo godremmo un po’ di più.
A cura di Gloria Sanzogni