Ozu: Il gusto del sakè è amaro
Ultimo titolo della filmografia di Ozu, il film si presenta come una malinconica riflessione sul cambiamento e sullo scorrere incessante del tempo. Entriamo di soppiatto nelle machiya (case di città giapponesi) di alcune famiglie e sentiamo appena la morbidezza del tatami sotto i piedi, dopo aver lasciato le scarpe all’ingresso. Diciassette anni dopo la sconfitta della Seconda Guerra, il Giappone è un Paese alla ricerca di una nuova identità. Avvertiamo però una sottile nostalgia del passato accompagnata da una lucida consapevolezza di doverlo lasciare alle spalle.
I personaggi sono quasi sempre ripresi frontalmente: ci confessano paure, desideri, speranze, ricordi e qualche volta cedono alla loro incapacità di accettarli. Interessante e significativa la contrapposizione tra diverse generazioni e la loro percezione spazio-temporale: le giovani donne stanno ora sostituendo le proprie priorità, la famiglia appare più disgregata e le città assumono sembianze nuove. Il tutto, vissuto con apparente rassegnazione, ha in realtà l’elegante pacatezza dei turbamenti interiori, nascosti agli altri ma vivi in sé stessi. Ozu ci racconta un rifugio nei o dai propri ricordi, ciò a cui ci affidiamo quando la realtà intorno a noi si trasforma e quando non siamo ancora pronti ad affrontarla fino in fondo. I cambiamenti importanti portano sempre delle microfratture dell’anima, soprattutto quando si tratta di allontanamenti: di una figlia, di un amore, della giovinezza. Il punto di vista è quello di un padre che percepisce l’avanzare della solitudine e della vecchiaia, scandita da sospiri, sguardi melanconici e sorrisi spenti. I figli “crescono solo per poi lasciarti”, è il ciclo della vita.
E infatti di un ciclo si tratta: il titolo originale Sanma no aji, in realtà, fa riferimento al samna, il pesce spada autunnale che negli anni ’60 per i giapponesi era simbolo della vita familiare e della quotidianità. Verso settembre viene pescato e offerto a tutti durante le sagre celebrando così il rito di passaggio dall’estate all’autunno. Ma noi, ora, ricordando la tenerezza del volto di Michiko, i racconti di un vecchio professore e l’inno della marina riecheggiare in un locale, possiamo lasciarlo nuotare ancora un po’ e indugiare in una intima e nostalgica estate.
A cura di Emma Onesti