Irrational Man: il buen retiro di Woody Allen

Conosciamo Abe Lucas (Joaquin Phoenix) attraverso la sua voce fuori campo, alternata a quella di Jill (Emma Stone), mentre i rumori del traffico si mescolano al rosso dei mattoni di un tranquillo campus universitario. La costa oceanica del piccolo Rhode Island concede a Woody Allen – e al suo protagonista – la possibilità di percorrere strade diverse, di tornare a giocare con il giallo, oscillando tra i punti di vista di due anime riflessive. Lui un noto professore di filosofia in declino psico-fisico, lei una giovane studentessa alla ricerca di un’avventura che possa farla uscire dalla monotonia del quotidiano.

«Kant dice che la mente umana è tormentata da domande che non riesce ad ignorare, ma alle quali non riesce a dare riposta. Quindi di che cosa stiamo parlando?» La battuta, emblematica, apre il film al flusso di dubbi, tormenti interiori e senso di spaesamento di Abe nel momento in cui incontra la frivola e abitudinaria provincia americana piccolo-borghese. L’intreccio è tipico dell’ultima produzione alleniana, tutto appare chiarissimo sin dall’inizio: due uomini, due donne, un triangolo. Questa volta alla linea sentimentale si sostituisce lentamente quella del mistero, Allen gioca così con il cinema di genere provando a costruire la narrazione su un omicidio. La sensazione è quella di trovarsi però davanti a un MacGuffin che lascia il regista libero di raccontare ciò che ha più a cuore e cosa se non l’ironico viaggio nella psiche dei suoi personaggi?

Il vero problema che sembra affliggere Abe è la mancanza di aria, l’incapacità di poter prendersi la libertà di tornare a vivere: «Non riesco a scrivere perché non riesco a respirare». Dopo una carriera lunga e pressoché ininterrotta con spesso un film all’anno, l’impressione è che Allen decida di staccarsi dal suo doppio, divertendosi nell’elaborare una fantasia rimasta inespressa. Irrational Man potrebbe rappresentare quindi un momento di svago, la fuga verso un buen retiro non lontano dalla sua New York e meno funambolico delle precedenti avventure europee.

Il percorso dei due protagonisti ricorda un cerchio piuttosto che una spezzata. Distratti da performance attoriali strepitose, da un raro senso del ritmo e dalla morbosa curiosità di addentrarci nell’imprevedibile instabilità dell’uomo, finiamo per non accorgerci che tutto in Irrational Man ha una chiusura che corrisponde a un inizio. La svolta del film, come era stato per Psycho, arriva a metà: su quella costa rocciosa, immersi nella natura di un passaggio nitido, al di fuori del tempo, Abe pian piano scompare e l’unica voce che rimane è quella che riporta il regista al punto di partenza.

A cura di Andrea Valmori