Kobieta z non solo la storia di una donna 

Alla Mostra del Cinema di Venezia anche quest’anno ha trovato fortunatamente posto in Concorso un film sulla disforia di genere. Se infatti la 79esima edizione aveva applaudito Monica di Andrea Pallaoro, il pubblico dell’80esima è rimasto catturato dalla complessa operazione dietro Kobieta z… dei registi polacchi Michał Englert e Małgorzata Szumowska.

Kobieta z… non si limita tuttavia ad essere una storia personale, come quella raccontata da Pallaoro, o un’opera sensoriale, come Body of Mine, un’installazione di Venice Immersive che permette di sperimentare corpi diversi dai nostri. Il film di Englert e Szumowska è qualcosa di enorme, capace di andare dal privato al collettivo, dalla storia di una persona alla Storia di paese cattolico e per larga parte bigotto come la Polonia rappresentata. Si parte dall’infanzia, si passa all’adolescenza ma si inizia ad approfondire Aniela Wesoły, protagonista della pellicola, nella piena maturità, quando è già padre per due volte ed è sempre più consapevole del proprio stato. 

Vediamo infatti Wesoły crescere, sposarsi e avere figli. La sua vita è ordinaria e integerrima, passata interamente nel piccolo paese in cui è nato, vicino ai genitori e al fratello. Colpisce subito la padronanza del mezzo tecnico che utilizza movimenti di macchina ora frenetici ora inesistenti, si diverte a manipolare il tempo diegetico e decide di ricorrere a un formato retrò facendo gridare a un cinema dalla grande qualità estetica.

Il passare dei decenni e il cambiare dei costumi provocano in Aniela/Andrzej una lenta ma progressiva presa di coscienza: è donna, lo è sempre stata. La grandezza del film non è infatti legata solo alla capacità di raccontare in maniera estremamente realistica e delicata una tematica scomoda (soprattutto in Polonia) come la disforia di genere, ma soprattutto di averlo fatto senza rinunciare a raccontare come l’evolversi della storia personale vada di pari passo con la Storia dello Stato. 

Dal comunismo alla caduta del muro, dall’uscita di film come Pretty Woman e La vita segreta di Veronica all’elezione a pontefice di Giovanni Paolo II, la storia individuale e la storia collettiva si mescolano in maniera mirabile e incisiva, lanciando anche una forte stoccata di denuncia nel finale. Vale la pena allora riproporre l’immagine con cui si apre il film (e che torna più volte): il ponte, metafora potente di un viaggio lungo un’intera vita alla ricerca di sé stessi, della transizione verso il genere a cui ci si sente di appartenere a discapito di quanto la natura ha stabilito.

A cura di Andrea Valmori