Per un bene superiore

L’Islanda contemporanea è una terra unica, inondata dal verde e dalla bellezza della sua morfologia naturale, ma anche sede di numerose fabbriche. Una gran vantaggio per il lavoro, una grave minaccia per il territorio che sta diventando terribilmente ordinario: l’emergenza è reale e incombente perché alcune industrie, dopo averne rovinato irrimediabilmente la bellezza, minano ora noi, la nostra salute e il futuro dei nostri figli in Islanda e non solo. A questo punto, senza dubbi, si può riconoscere un qualcosa di vagamente e tragicamente attuale in questo scenario: Erlingsson lo sa bene e lo porta sul grande schermo con una pellicola che fa degli sguardi e del corpo dell’eroina-ecoterrorista Halla il suo vero fulcro.

Halla è una donna sulla cinquantina, direttrice di coro a Reykjavik e nel tempo libero sabotatrice dei fili elettrici che portano energia elettrica alle fabbriche siderurgiche islandesi. Da tempo le autorità cercano il responsabile di questi atti: è per questo che Halla agisce con estrema cautela, conosce perfettamente la sua terra e sa dove le insenature e le rocce possono nasconderla quando è in fuga. Perchè fare tutto questo? Il motivo è semplice: salvare la sua terra da una distruzione prossima.

Le cose cambiano all’improvviso quando l’ufficio adozioni le comunica che la domanda fatta anni prima è andata a buon fine: diventerà madre di Nika, una bambina Ucraina. Si impone una scelta: non può essere ricercata dai servizi segreti dello Stato rischiando l’arresto e allo stesso tempo dare serenità a una bimba di cinque anni. Che fare dunque? Lo scontro tra interessi pubblici e privati è al centro del dialogo con la sorella, la decisione è presa: diventerà madre. Non prima, però, di aver scritto una dichiarazione, firmata La donna elettrica, in cui rivela di essere l’unica responsabile dei fatti allertando tutti i concittadini sul pericolo a cui stanno andando incontro ed ecco che, in una delle scene più potenti del film, lancia la dichiarazione dal tetto della sua scuola di canto, facendo piovere dall’alto il suo manifesto e la sua condanna.

Con ironia e sapienza Benedikt Erlingsson ci accompagna alla scoperta di Halla e della sua missione: un sestetto musicale – fisicamente presente in scena – impersona e recita con impeccabile efficienza i suoi pensieri, le sue paure e le sue gioie. E questi ci lasciano inevitabilmente con l’amaro in bocca: va bene salvare il mondo, ma come? Qual è il bene per cui vale la pena lottare e rischiare e quali sono i limiti che non si possono valicare per raggiungerlo? O, per citare Battisti, come può uno scoglio arginare il mare? Tra i colori, i gesti e le parole di questa pellicola che senza prendersi troppo sul serio riesce a veicolare un importante messaggio, capiamo che forse il consiglio del regista è proprio quello di essere scogli: ognuno sia semplicemente lo scoglio che deve e vuole essere, senza riserve, senza paure e sapendo scendere a compromessi con la corrente che come sappiamo non si può controllare. E infatti, alla fine del film, vedremo il commovente incontro tra Halla e Nika, trale le acque di un’inondazione incapace di fermarle.

A cura di Agnese Graziani