La mosca: il ronzio fastidioso di un uomo ossessionato dal progresso
La trasformazione del corpo è uno dei principi su cui si fonda il cinema di David Cronenberg. Il suo film La mosca è un capolavoro assoluto: è horror, è fantascienza ma probabilmente è anche un film sull’amore, un amore tragico che non riesce a consolidarsi a causa dei soliti egoismi tremendamente umani, del nostro ego spropositato, il quale tradisce ogni buon sentimento che vale la pena di essere vissuto più di ogni altra cosa!
Al centro delle vicende troviamo Seth (Jeff Goldblum), un uomo ossessionato dall’idea di rincorrere il progresso tecnologico. La sua mente – ancor prima dell’incidente scatenante che trasformerà il suo corpo – andrà in contro a un cambiamento; una mente avvelenata dall’esigenza di dare vita a un’invenzione rivoluzionaria: il teletrasporto. Seth si innamora di una giornalista (Geena Davis), la quale inizialmente è incuriosita dalla scoperta del teletrasporto, su cui vorrebbe scrivere un articolo che le cambierebbe la vita in termini di carriera e di successo. Poi, in realtà, viene sedotta da quell’uomo, così affascinante e pieno di buoni propositi relazionali. Durante una serata come tante altre però, la rabbia e la gelosia mescolate all’ebbrezza dell’alcol portano Seth a commettere un terribile errore: sottoporsi personalmente al teletrasporto prima dei dovuti accertamenti. La conseguenza? Il suo corpo si trasformerà lentamente in una mosca gigante.
I nostri protagonisti si muovono all’interno di ambienti cupi, tendenzialmente freddi, amplificati espressivamente da una splendida fotografia e da una messinscena azzeccatissima nella sua estrema semplicità. Il climax sale e cresce vertiginosamente, come un decollo aereo, affrontando le varie tappe della mutazione del corpo corporale di Seth sostenuta da un trucco di un livello notevolissimo per l’epoca, a tal punto da aggiudicarsi il premio Oscar.
La mosca è una sorta di metamorfosi kafkiana, poiché lo spettatore non si distacca emotivamente da Seth, non lo ripudia e non lo condanna, anzi ne prova un’immensa e struggente pietà. Come nel racconto di Kafka, Seth si arrampica sulle pareti fino al soffitto cercando vie di fuga, prendendo consapevolezza di un cambiamento irreversibile. La sua coscienza si indebolisce sempre più a causa di quello che ha perso nella sua vita umana: l’amore e il sentirsi amati. Quello di Cronenberg non è un film soltanto sulla perdita del corpo, bensì sulla perdita dell’uomo, della sua identità formata da materia e anima. L’anima distrutta da un mondo confusionario dove l’a-moralità della società porta al perseguimento di uno stile di vita illusorio. L’ideale contemporaneo di voler raggiungere a tutti i costi il successo, la convinzione di avere le stesse possibilità di un Dio e, infine, l’idea di volersi sostituire a Dio portano l’individuo a una dolorosa auto-distruzione.
A cura di Matteo Malaisi