Un debut complicato

Le bellezze della Sicilia (il suo mare, le sue città, l’Etna) fanno da sfondo ad uno psichedelico road movie dal gusto un po’ anni ’70 in La primavera della mia vita, prima esperienza di lungometraggio per il regista Zavvo Nicolosi e per i due protagonisti Colapesce e Di Martino.

Il film racconta il riavvicinamento di due amici, Lorenzo e Antonio, allontanatisi senza un’apparente ragione da più di tre anni. Col pretesto di dover scrivere un libro sulle leggende più strane della Sicilia, infatti, i due affrontano un viaggio alla ricerca di complottisti che credono nei giganti, di droghe antiche di centinaia di anni e di un sedicente antenato di Shakespeare (gustoso il cameo di Roberto Vecchioni, che col suo inconfondibile tono di voce sostiene la teoria di parentela tra Giuseppe Maria Scrollalancia e il Bardo immortale).

La storia inizia a Milano ma si sposta, sia geograficamente che temporalmente, in una Sicilia popolata da santoni, eccentrici fruitori di droghe, fan di Jim Morrison fondatori de «L’iguana dei Nebrodi» e una vecchia Ford arancione soprannominata “Lazzaro”. Non ci sono coppole e cibo in abbondanza in questo road movie, ma panini e persone vestite in ogni modo possibile, hotel gelidi e cavalieri dentro i vulcani: tutto sembra irreale, surreale o, quasi, confuso. Non è importante quante siano le leggende di cui devono scrivere, cosa vogliano i membri del gruppo/setta in cui è entrato Antonio o la storia dietro i luoghi strani che visitano, ciò che conta è solo il risanamento del rapporto tra i due amici, obiettivo il cui raggiungimento non può non passare da una maturazione interiore di Lorenzo, così da arrivare poi alla tappa finale di questo film di formazione.

Il lungometraggio rappresenta l’esordio al cinema tanto per il regista Zavvo Nicolosi, quanto per i due protagonisti, il cui sodalizio è iniziato più di dieci anni fa dietro la macchina da presa dei loro video musicali. Tuttavia, la decisione coraggiosa ed impegnativa di approdare nel mondo della settima arte svela una certa acerbità da parte del trio: se nei videoclip si esprimono magistralmente anche attraverso look eccentrici ed immagini inusuali, il tentativo di trasportare in un film questo format rende il prodotto finale poco d’impatto, al limite del confusionario e dell’inverosimile. Degna di riconoscimento la scelta delle musiche, che hanno valso al film il Nastro d’argento alla miglior colonna sonora; infatti, sono proprio le scene musicali a dare alla pellicola un’atmosfera ed un’estetica di alto livello. E, data la bravura dei due cantanti (che sono anche produttori), questo non stupisce affatto.

Il prodotto finale, dunque, è una commedia complicata, ricca di riferimenti sconosciuti ai più, ambientata in un mondo che conosciamo, ma che, allo stesso tempo, non esiste ed è popolato da persone che ci ricordano tanto il nostro vicino di casa quanto il protagonista di un racconto di un bambino. Ma la risata, nonostante tutto, è assicurata, soprattutto davanti al «Vecchioni complottista» che Lorenzo non vuole «accollarsi», e, in attesa di vedere il prossimo passo del trio Niccolosi-Urciullo-Di Martino, tanto ci basta.

A cura di Andrea Fiori