La tartaruga rossa: una poesia silenziosa nella natura desolata

Un film muto: Michaël Dudok de Wit concentra in un’ora e venti minuti di meravigliose musiche e animazioni una poesia silenziosa e incredibilmente affascinante. Dalla spuma del mare alle bianca sabbia di un’isola, un naufrago si ritrova solo in un piccolo Eden lontano dal resto del mondo. Le onde sembrano montagne, la vegetazione si estende minacciosamente e solo il netto tratto nero dell’orizzonte ci consente di non perderci in uno sterminato cielo dai colori pastello. I tentativi di lasciare l’isola vanno però ripetutamente e misteriosamente a vuoto: una grande tartaruga rossa sembra voler opporsi alla partenza del protagonista.

L’incontro tra lo storico Studio Ghibli e l’animazione europea dà vita a un’opera ancestrale fuori dallo spazio e dal tempo. Sospesi su un’isola nel mezzo delle acque, noi spettatori dapprima proviamo a sopravvivere, a fuggire, salvo poi accorgerci con il protagonista che quello che abbiamo trovato, lontano da tutto e da tutti, è forse una sensazione di felicità. Occorre uscire dal guscio, lasciarsi alle spalle il peso di una civiltà che non è più augurabile raggiungere. Rimaniamo impauriti e affascinanti alla prima vista della tartaruga rossa, unica tra le creature marine e in contrasto con le limpide acque azzurre che domina. Sequenze oniriche di un bianco e nero notturno ci lasciano sospesi, facendoci planare sopra le onde nell’infausta speranza di un riorno a casa. Ed è proprio nel momento di massima ferocia e furia, nel farsi animale da parte dell’uomo, che assistiamo al miracolo, o miraggio, di una incantevole metamorfosi, la metafora di ciò che l’uomo ha perso e forse, a contatto con la natura, desidera ritrovare.

Ci troviamo sospesi in un ricordo lontano che sembra appartenerci. Come per i piccoli di tartaruga nel loro istintivo primo viaggio verso il mare, l’uscita dall’Eden non spetta ad Adamo ed Eva, ma alla progenie. Il piccolo, attratto e incuriosito dall’artificialità di una semplice bottiglia vuota, è desideroso di scoprire l’altro, di conoscere il mondo, inconsapevole di ciò che lo potrebbe attendere. Il ciclo di una vita coincide così con il ciclo della natura, la semplicità di gesti ed emozioni di cui ci sentiamo privati è capace di toccarci nel profondo. La tartaruga rossa non è un film da vedere, è un sogno da rivivere.

A cura di Andrea Valmori