Le colpe dei padri

Maria è una giovane donna, moglie di un camorrista che è stato arrestato. Ha due figli, e cerca rifugio da Giovanna, che gestisce una masseria nelle periferie di Napoli in cui accoglie i bambini e li fa stare insieme giocando. Rita, la più grande dei figli di Maria, non è una bambina come le altre: è stata esposta troppo presto alle sofferenze e alla complessità della vita. Da quando il padre è stato arrestato Rita non esiste più, esiste solo un marchio, un’etichetta, una colpa: la figlia del camorrista dalla quale stare alla larga. I genitori che affidano a Giovanna i loro figli sono preoccupati e, onestamente, come biasimarli? La mafia è la più grande piaga del Mezzogiorno, tanti dei bambini lì presenti hanno perso qualcuno o qualcosa a causa di questa: non è cattiveria, è spirito di sopravvivenza, è sofferenza. Di Costanzo lo sa e, con la sensibilità mai banale che lo caratterizza, rappresenta questo sentimento chiaramente attraverso gesti, sguardi e parole. Ma proprio perché non è banale, non si ferma qui.

Aldilà del mondo dei grandi, del mondo degli errori e della complessità, di cui mai vengono negati l’esistenza né tantomeno l’importanza, ci sono i bambini e la loro voglia di giocare insieme. Ci sono i bambini e le colpe che hanno ereditato, ma che non sanno di avere. Ci sono i bambini che costruiscono una lucertola di cartapesta e una bicicletta di nome Mister Jones. Ci sono i bambini che se litigano fanno pace, che giocano con un bambino perché è simpatico e se non ci giocano il motivo è semplicemente che non hanno voglia di farlo. Ci sono i bambini che hanno insito in loro, tutti, l’antidoto alla complessità. Ed è esattamente intorno a loro che la regia lavora in questo lungometraggio. L’intrusa non è un film che parla solo di mafia, colpe, situazioni disagiate e dolore. L’intrusa parla anche e soprattutto di bambini, della necessità di preservarne la gioia e la voglia di giocare, della centralità che deve avere la loro crescita nella vita degli adulti che li circondano. Di Costanzo ci sta urlando l’importanza del fatto che tutti i bambini vivano un’infanzia il più possibile serena e svincolata dalle fatiche del mondo dei grandi: per quelle ci sarà tempo. Non è sicuramente un’impresa semplice, soprattutto in condizioni così particolari. E allora, oltre ad urlare necessità, cosa ci consegna questa opera cinematografica?

Sicuramente non una via assoluta per risolvere la questione, però offre qualche consiglio interessante. Il più importante di questi è senza dubbio il silenzio: questo non è un film contraddistinto da parole, tutt’altro, sentiamo rumori, vediamo gesti, ma ascoltiamo pochi discorsi, perché effettivamente con i bambini le parole e i discorsi contano meno. Sono importanti, ma al primo posto ci sono i gesti. Per loro, per soddisfare le loro necessità, non serve parlare, serve agire. E conferma di questo è la scena in cui Maria non può scaldare il latte per suo figlio perché è finita la bombola del gas: in silenzio, Rita, bambina, agisce. Impariamo da Rita ad agire, a dare forma, spazio e movimento alle parole perché il metodo educativo migliore è, e sarà sempre, l’esempio dei grandi.

A cura di Agnese Graziani