Lumina: la concreta luce delle immagini

Una ragazza vaga solitaria tra paesaggi incontaminati e rovine di una città fantasma con la
stupefacente capacità di riattivare dispositivi elettronici come vecchie tv, radio, lampadine. Quando
troverà lo smartphone appartenuto a un ragazzo di nome Leonardo, ossessionato dall’idea di filmare
tanti episodi della sua vita di coppia, Arianna scoprirà l’amore.

Samuele Sestieri dirige il suo secondo lungometraggio con una padronanza notevole del mezzo
cinematografico, proponendo, nel panorama italiano, un film sperimentale molto vicino al genere
fantascientifico, il quale è pressoché assente nel cinema del nostro paese. Lumina è qualcosa di più
che un film etichettabile: è un sentimento, un continuo flusso di emozioni stimolate dalle stesse
immagini di grande impatto, potenti e molto evocative.

In una delle prime scene, Arianna si adagia tra le rovine di una chiesa abbandonata. La macchina da
presa indugia sui volti degli affreschi sbiaditi e logorati dal tempo, come se si volesse comunicare il
pericolo della scomparsa dell’arte, della bellezza e, soprattutto, la perdita della memoria: la
memoria storica e quella personale, poiché viviamo nell’epoca del caotico susseguirsi di fatti e di
informazioni che, inevitabilmente, dimentichiamo subito. Da ciò deriva anche l’ossessione
contemporanea di archiviare compulsivamente ogni cosa delle nostre vite (come fa Leonardo, che
filma la sua relazione). Per dare valore a quelle immagini veicolate dallo schermo di un telefono c’è
naturalmente bisogno di uno sguardo nuovo, puro e significativo: lo sguardo di Arianna, che dà
nuova vita alle immagini. Arianna è la luce stessa del cinema che ci permette di osservare la realtà
da prospettive diverse, più lucide (attraverso storie e personaggi, infatti, comprendiamo di più noi
stessi) e, al contempo, meno lucide, come ci suggeriscono le sequenze allucinatorie del film. Perché
la verità è che non abbiamo bisogno di vedere fisicamente le immagini, ma abbiamo la necessità di
sentircele cucite addosso e di percepirne il peso concreto sulla nostra pelle. E, di pari passo, in
Lumina, il sonoro si fa carne, amalgamandosi perfettamente alle immagini e creando un vero e
proprio concerto audiovisivo.

Viene quasi spontaneo e naturale percepire un riverbero lynchiano nel cinema di Sestieri, dati i
numerosi cortocircuiti, le sequenze allucinatorie e il modo in cui spesso la macchina da presa
indugia su pertugi oscuri che diventano il passaggio verso altre dimensioni spaziali e temporali, pur
rimanendo stilisticamente e contenutisticamente coerente a sé stesso, senza che il citazionismo sfoci
nella mera celebrazione di un grande autore come David Lynch.

Lumina si configura dunque come una prova autoriale davvero degna di nota, che fa ben sperare per
un nuovo cinema personale e creativo nel nostro paese. Nel film di Sestieri, con la splendida
fotografia di Andrea Sorini e lo strepitoso lavoro di montaggio di Fabio Bobbio, c’è tanto anche del
suo stesso autore: le reali immagini d’archivio con i suoi genitori conferiscono al film una vena
documentaristica, enfatizzata anche dalla presenza dell’attrice Carlotta Velda Mei, compagna di vita
di Sestieri, perfettamente calata nella parte.

A cura di Matteo Malaisi