Quando la musica supera i margini

«Uno deve acchiappa’ e anda’ via». Sono le parole di Jacopo, uno dei membri della band protagonista del film Margini, uscito nel 2022 per la regia di Niccolò Falsetti e presentato alla 79ª mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. I tre musicisti vivono a Grosseto, nei primi anni duemila, in un’atmosfera soffocante fatta di desolazione e prigionia dello status quo. Come unico obiettivo, sfondare nel mondo del punk rock.

La musica non è solo una valvola di sfogo, ma anche un modo per eludere dei margini fin troppo stringenti. Infatti ognuno di loro ha una vita che li costringe a rispettare i ranghi, in una militaresca quotidianità in cui conta ogni centesimo guadagnato: Edoardo vive con sua madre, in un’eterna adolescenza che lo relega a un ruolo subordinato, mentre Michele dovrebbe supportare economicamente moglie e figlia, che con il suo entusiasmo genuino alimenta e visualizza i sogni del padre. Solo Jacopo è scisso tra una prospettiva migliore, fare definitivamente parte dell’orchestra in cui prova con il suo violino, o appoggiare i sogni sbilenchi dei suoi amici.

Il punk rock è un genere complesso, stridente, non a caso la cittadina non è preparata a contenerlo. Sfugge alla comprensione dei più; le note si insinuano nei pertugi e cozzano tra loro. È necessario un gesto forte, rivoluzionario, per acquistare visibilità: organizzare un concerto e invitare un famoso gruppo americano come ospite principale. L’impresa ha la veste di un risveglio culturale più che un desiderio di gloria. Rimpolpare i confini stanchi in cui si protraggono le giornate di provincia. Tuttavia non c’è solo la musica: è necessario prenotare una sala, affittare la strumentazione adatta, coinvolgere il pubblico. L’unica cosa certa è la locandina della serata, i famosi disegni di un certo Zerocalcare, guest star impalpabile, che si prestano a una rivisitazione rock.

Per il locale, la situazione è più complessa. Dopo aver distrutto la sala del patrigno di Edoardo con una rabbia viscerale, atavica, che si confà alla dissoluzione interna di una perdita di prospettive, i tre si trovano in serie difficoltà. Michele investirà tutti i suoi risparmi per pagare il volo degli americani, il loro pantagruelico pranzo tra vino toscano e tortellini ripieni; Edoardo verrà cacciato di casa e dormirà in macchina, uno stile underground portato al parossismo come conseguenza delle sue azioni. Jacopo deciderà di allontanarsi, mentre aspetta un treno nell’ultima scena che lo vede come protagonista. La sua assenza funge da monito per gli abitanti di Grosseto, acchiappare e andare via: l’unica regola capace di creare un varco.

Le sorti del concerto rimangono dubbie fino all’ultimo, la tensione palpabile tra Edoardo e Michele che esaurisce pian piano ogni risorsa. In un emblematico grido di guerra, pochi giorni prima dell’evento, Michele suona violentemente la batteria sul terrazzo, tra fili di panni stesi come inquilini curiosi che partecipano allo spettacolo. «Basta, hai rotto», gli intima uno di loro in carne ed ossa, vestaglia e giornale alla mano. È questa la provincia, con la sua implacabile pretesa di silenzio.

La realizzazione materiale del concerto sarà una sorpresa, trionfo di corpi che si scatenano a ritmo, in una stanza minimal e polverosa in cui pestano i piedi gli appassionati. La band americana attirerà seguito e consenso, Jacopo e Michele relegati ai margini organizzativi di un supporto, però, indispensabile. La loro esibizione privata avviene in macchina, il giorno successivo, quando cantano a squarciagola una canzone di Massimo Ranieri trasmessa in radio. Come si chiamava il cantante, Michele, Marco? Non indovinano subito ma non importa, perché loro sono rimasti nei margini, ma hanno scavalcato confini.

A cura di Alessia Mangone