Memory Box: una memoria dolorosa

Montreal. Mentre una tempesta di neve infuria nelle strade, Alex e sua nonna Téta preparano degli involtini di foglie di vite per la cena di Natale, in attesa che arrivi Maia, la madre della ragazza. Qualche candela accesa illumina le stanze con una luce soffusa. «Gli uomini si giudicano dal modo in cui mangiano le foglie di vite» – commenta Téta – «chi ne trangugia due alla volta è un ingordo egoista che non rispetta il nostro impegno». Un cenone come tanti altri. Una famiglia come tante altre: un padre che ha lasciato la moglie e si è rifatto una vita altrove, una figlia adolescente e una mamma sola che faticano a trovare un giusto equilibrio nel loro rapporto.

La condizione di precarietà familiare è messa a soqquadro dall’arrivo di uno scatolone pieno di ricordi, consegnato proprio nella giornata di Natale. Proviene da Beirut e porta con sé un passato lontano che ha lasciato ferite mal rimarginate sulla pelle di Téta e di Maia, scappate dal loro paese a causa della guerra che lo aveva funestato negli anni Ottanta. Nonostante la madre vieti alla figlia di frugare tra i resti della propria storia, Alex inizia a ispezionare il contenuto della scatola e ci trova fotografie analogiche, audiocassette e diari che sua mamma aveva scritto per l’amica Liza, fuggita dal Libano ai tempi del conflitto per trasferirsi in Francia, e recentemente venuta a mancare.

Ogni operazione di ricostruzione della memoria altrui comporta sempre un certo tasso di violenza e di invasività, eppure consente la meravigliosa possibilità di portare alla luce i ricordi di un passato altrimenti sepolto. I negativi delle fotografie prendono vita grazie alle registrazioni dei nastri e il film ci riporta indietro nel tempo e dall’altro capo del globo, nel Paese dei cedri: il paesaggio lunare di una capitale sventrata; la prima storia d’amore di Maia; suo padre, preside virtuoso spezzato dalla barbarie della guerra; il desiderio di voler vivere la propria giovinezza che si scontra con la cruda realtà. Muovendosi dal particolare di un microcosmo di una famiglia, il film racconta infatti il dramma universale di uno dei tanti conflitti che ha tormentato il Medio Oriente.

Per quanto doloroso possa essere, per ricucire i fili della propria storia passata, bisogna prima districare le matasse di quelli del presente, imparando a condividere con le persone che amiamo ciò che abbiamo sepolto dentro di noi. Tuttavia, molto spesso, l’esito di tale procedimento è lontano dalla verità. Il vero si mescola infatti al falso, i ricordi si alterano e ognuno presenta una propria versione di quanto è successo. Anche questo, però, fa parte del processo di costruzione della propria memoria e dell’identità familiare, come hanno dimostrato con attenzione e senso della misura i due registi di Memory Box.

A cura di Mattia Rizzi