Mission: la nascita del cult nel cinema contemporaneo

Nessun regista nella storia della settima arte si è mai seduto dietro alla macchina da presa pensando di voler girare un cult. Nascono all’improvviso, magari sorprendendo gli autori stessi, spesso senza apparente ragione. Ognuno è un caso a sé stante: alcuni entrano nella cultura popolare per una citazione (They live, BladeRunner), altri per un risvolto di trama, spesso un colpo di scena (Psycho, Se7en) oppure semplicemente perché sono geneticamente pop (Pulp fiction, Il grande Lebowski). Le ragioniper cui un film diventa fenomeno di massa sono, come anticipato, praticamente illimitate, perciò non avrebbe senso elencarle; tuttavia, è doveroso segnalare che non tutte sono banali come lo possono essere una performance particolarmente sorprendente o una scena degna di nota: Mission, eccezionalmente, passa alla storia per la musica. S’intenda, non che sia il solo nella banda dei cult con melodie memorabili, ma è tra i pochi passati alla storia unicamente per quella.

Seconda fatica di Roland Joffé, vincitore della Palma d’oro al festival di Cannes del 1986, Mission racconta la fittizia (ma ispirata da eventi reali) vicenda di un gruppo di gesuiti che, con l’aiuto della popolazione Guaranì, fonda una missione a cavallo del confine tra Regno di Spagna e di Portogallo, in Sudamerica. Le vicende della neonata comunità si intrecciano con la parabola di redenzione di capitan Mendoza, colpevole di fratricidio e per questo caduto in disgrazia, e con gli intrighi politici delle corti europee, dove Spagna e Portogallo, firmatari del trattato di Madrid (1750), si alleano per scacciare i gesuiti dalle terre del Nuovo Mondo, chiedendo anche l’aiuto del Vaticano.

Serve poco alla pellicola per presentare il suo punto forte: a pochi minuti dall’inizio, Padre Gabriel (Jeremy Irons) si siede in mezzo alla giungla popolata da indigeni ed estrae il suo flauto; Ennio Morricone non era certo noto per sbagliare spesso, ma raramente ha raggiunto picchi come quelli della melodia cardine del film di Joffé. Il film scorre accompagnato dalle magnifiche note del compositore capitolino, fino a chiuderne la scena finale, in aperto contrasto con le immagini di guerriglia mostrate su schermo. Tuttavia, finita la pellicola, risulta evidente che al netto della colonna sonora Mission non punta a dire più di tanto: è un dramma in costume con una buona fotografia e delle buone prestazioni attoriali da parte di De Niro e Irons; assodato il motivo per cui se ne parla come un cult, ossia lo straordinario accompagnamento musicale, una domanda lecita a questo punto potrebbe essere relativa al concetto stesso: come nasce un cult? Quand’è che un film si può considerare tale?

Un approccio valido alla questione è quello di cercare un punto di contatto tra i cult della storia, che possa fungere auspicabilmente come soluzione o quantomeno da indizio per risponderci. Tuttavia, per trovarlo, dobbiamo alzarci dalle poltroncine foderate e reclinate, lasciare la nostra bibita ed i nostri popcorn ed uscire dalla sala. Un cult non nasce nella cellulosa prima e nei pixel poi, non è nel copione o negli attori, ma è in una cosa molto meno cinematografica, più mondana, più umana della nuova Babilonia di Hollywood: le chiacchiere. Il cult diventa tale solamente quandose ne parla, ma non nei salotti o sui giornali: ne deve parlare la gente. Si pensi a The Room (2003), diventato cult perché comicamente, caricaturalmente brutto: il chiacchiericcio su internet e sui forum è ciò che l’ha portato alla fama, non quello sui giornali. Ognuno è caratterizzato, meno per la bruttezza, da una storia simile. Basic Instinct ha la scena più rivista della storia, Drive fu oggetto di innumerevoli meme, Fantozzi è citabile in ogni situazione. La stessa sorte la condivide Mission, certo non snobbato dalla stampa (come accadde, per esempio, a Sergio Leone con Giù la testa) ma, pur vincendo un buon numero di premi, nemmeno innalzato a capolavoro; stona, ad oggi, la statuetta per la miglior colonna sonora a Round Midnight, di Bertrand Tavernier, mentre Morricone sedeva tra i membri dell’Accademy ad applaudire.

Così allora abbiamo una risposta alla nostra domanda: il cult nasce dal passaparola, è un fenomeno di massa generato dalla condivisibilità di un’esperienza. Certe volte è più prevedibile di altre, ma è difficile per un regista o uno sceneggiatore sedersi davanti al suo computer o mettersi dietro alla macchina da presa con la volontà di fare un cult; tuttavia, sia questa la volontà di un qualche regista, egli saprà su cosa puntare: le chiacchiere.

A cura di Francesco Colombo