Momo alla conquista del tempo: quando ogni minuto conta
Già all’inizio del nuovo millennio erano evidenti i segni che il consumismo e il capitalismo stavano lasciando sulla nostra società, sempre più frenetica, sempre più stressata, sempre meno genuina. Non stupisce, quindi, che Momo alla conquista del tempo risulti così tristemente attuale. È sempre più radicata in noi la convinzione di dover utilizzare ogni minuto della nostra esistenza in un modo che la società ritenga produttivo, rinunciando a ciò che ci dona benessere interiore, come gli affetti, gli hobby e la semplice socializzazione, o addirittura ai bisogni primari del nostro corpo, tant’è che persino le otto ore ideali di sonno sono considerate una perdita di tempo prezioso, tempo che dovrebbe essere impiegato ad alimentare la sempre più vorace macchina dell’economia.
La nostra specie è vittima del fumo velenoso diffuso dai Signori Grigi, esseri dalla carnagione cinerea (usciti direttamente da un quadro di Magritte, così come le rampe di scale che conducono alla dimora di Mastro Hora) che sopravvivono grazie al tempo rubato (quello che conta davvero, s’intende, quello che rende la vita degna di essere chiamata tale) e il cui unico scopo, di conseguenza, è convincere la gente a rinunciarvi, illudendola che in futuro le verrà restituito con gli interessi. Il tempo, insomma, è letteralmente denaro, e l’avidità dei Signori Grigi rispecchia perfettamente quella del sistema economico che governa il mondo. Nonostante vengano descritti come creature incorporee che possono assumere qualunque sembianza, questi ladri di tempo non sono altro che un nostro alter ego, ciò che siamo condannati a diventare sottomettendoci ciecamente alle logiche del capitalismo: semplici numeri su una roulette russa, privi d’identità, interscambiabili o addirittura eliminabili a seconda delle convenienze.
Ma questi esseri esistono solo perché noi glielo permettiamo, come evidenzia Mastro Hora: è necessario quindi che qualcosa o qualcuno dissipi il fumo che annebbia le nostre menti. Ed è qui che entra in scena Momo. Allo spettatore è subito evidente che non si tratta di una bambina qualunque: viene dal nulla, non ha una famiglia e non ha una storia, possiede solo un cappotto arancione troppo grande per il suo corpicino e ha due grandi occhi azzurri che la distinguono dal resto dei personaggi. Lei, dolce e pura (e guidata emblematicamente da una tartaruga, un animale tanto lento quanto longevo), è la custode e l’incarnazione dei valori che ci rendono umani, nonché la più grande minaccia per i Signori Grigi, perché quando le persone le stanno accanto «cominciano a pensare con il cuore, non con la testa». Grazie a lei, ogni uomo si riprende il tempo che gli spetta per vivere dignitosamente e ritrova finalmente il piacere delle piccole cose, dalla partita a carte con gli amici alle chiacchiere con i clienti.
Attraverso una metafora tanto trasparente quanto efficace, D’Alò dà vita ad una storia senza tempo, resa ancora più emozionante dalle musiche di Gianna Nannini, dai riferimenti pittorici e dai colori sgargianti che accentuano il tono fiabesco di cui è intinta.
A cura di Melissa Marsili