Come diventare il re del mondo a dodici anni

A Summer’s End, in una casa rossa, vive una famiglia disfunzionale come tante. Suzy, la figlia maggiore, è una ragazzina solitaria e intraprendente che osserva il mondo attraverso le lenti di un binocolo, con uno sguardo ravvicinato ma fisicamente distante. Dall’altra parte (dell’isola) c’è Sam, che fa parte dei Khaki scout del campo estivo, e che, dalla morte dei suoi genitori, è passato in affido da una famiglia all’altra.

I due sono amici di penna e programmano una fuga d’amore per stare insieme e liberarsi dallo squilibrato mondo degli adulti che li circonda e di cui a volte ricalcano goffamente i drammi esistenziali. Wes Anderson dirige così dei raffinatissimi teatrini di figurine molto umane, in una malinconica favola ambientata negli anni Sessanta e girata in Super 16mm che restituisce la magia dell’avere dodici anni e la voglia di ribellarsi, un po’ come cantava Françoise Hardy in Le Temps de L’amour:

On se dit qu’à vingt ans / On est les rois du monde” (Si dice che a vent’anni si è il re del mondo).

La palette e lo stile sono inconfondibilmente andersoniani, accompagnati da una punta di grottesco che fa capolino di tanto in tanto tra i colori pastello e la nostalgia. Ogni personaggio è legato a un simbolo o a una sfumatura, dagli scarabei-orecchini che Sam regala a Suzy alle maschere animalesche o all’uso del binocolo come superpotere: questo strumento consente infatti di avvicinarsi a qualcosa da cui si è o ci si sente lontani, esclusi, a qualcosa che allo stesso tempo sentiamo il bisogno di spiare.

Il binocolo è il filtro con il quale Suzy fa esperienza della realtà, del mondo degli adulti da cui è irrimediabilmente attratta e che cerca contemporaneamente di allontanare, rifugiandosi nei libri fantasy rubati alla biblioteca comunale “solo per avere un segreto da custodire”. Un ironico e romantico omaggio alla fiaba di Peter Pan, orfano dodicenne esploratore dell’Isola Che Non C’è che mostra a Wendy tutte le meraviglie e le libertà dell’infanzia, che ritroviamo, come sempre, nel grande cinema.

A cura di Emma Onesti