Niente di nuovo sul fronte occidentale: la tragedia della guerra nelle piccole cose

Una volpe svegliata dal fragore dell’artiglieria; l’etichetta col nome di un soldato morto ancora attaccata alla divisa consegnata alle nuove reclute; gli occhiali rotti di un amico ritrovati sotto le macerie di un bunkerdistrutto; il viso e le mani sempre sporche di sangue, di terra, di cenere; la follia generata dagli orrori visti che serpeggia nei commilitoni.

L’anno è il 1917, il conflitto è la Prima Guerra Mondiale (cinematograficamente meno famosa della Seconda), l’ambientazione è il Nord della Francia, nelle trincee dove milioni di giovani persero la vita «combattendo per poche centinaia di metri». La trama non è particolarmente articolata: Paul Bäumer decide di arruolarsi, assieme ad altri compagni di scuola e senza il consenso dei genitori, per combattere per la patria e per il Kaiser, convinto di «marciare trionfalmente su Parigi» dopo poche settimane. Tuttavia, si renderà rapidamente conto che la realtà della guerra è ben diversa. Del suo passato non conosciamo nulla, perché in guerra non conta la professione dei genitori, l’istruzione, la città di provenienza o l’età; in trincea si è solo soldati e l’unica cosa importante è non farsi vedere dal nemico e tenere l’arma pronta.

Niente di nuovo sul fronte occidentale è un film storico che ha quasi il sapore di un documentario sugli orrori della guerra, evidenziati dalle differenze tra le giornate dei soldati e quelle della delegazione tedesca, guidata dal diplomatico Matthias Erzberger (impersonato da Daniel Brühl) ed inviata a cercare un accordo con la Francia. Da un lato il fango, il freddo, i topi, la fame, il costante pericolo della morte; dall’altro il fastidio per una macchia di urina caduta sulle scarpe, i croissants del giorno prima serviti ai tedeschi come provocazione, il tempo sprecato in attesa di una telefonata.

È proprio lo scorrere del tempo, spesso scandito da tre note musicali ripetute più volte, ad essere un elemento importante del film: non importa che sia mattina o sera, che sia estate o inverno, per Paul ed il gruppo di soldati con cui stringe amicizia ogni giorno è uguale, come uguale è la paura di morire. L’unico momento di – breve – sollievo nella vita dei soldati è quando sono lontani dal fronte; allora possono scherzare pelando patate, possono cercare di conquistare una ragazza, possono mangiare un pasto caldo. Ma il pericolo è sempre dietro l’angolo, che si tratti di un attacco aereo nemico o di una missione di ricerca, e dunque bisogna essere pronti ad imbracciare nuovamente il fucile ed a tornare in trincea.

Spesso, nei film di guerra, il protagonista o una fazione sono assurti ad eroi, senza macchia ed invincibili, ma, come diceva il maestro Yoda, «Wars not make one great» (“guerra non fa nessuno grande”), ed in Niente di nuovo sul fronte occidentale questo è ben rappresentato. Nessuno è un eroe. Non lo sono i francesi, che uccidono brutalmente i soldati che si sono arresi. Non lo sono i tedeschi, il cui generale – guerrafondaio – ordina un attacco quindici minuti prima del cessate il fuoco. Non lo è lo stesso Paul, che ferisce mortalmente un soldato nemico (per poi essere preso dai rimorsi). Gli orrori del Primo Conflitto mondiale, infatti, non lasciano spazio ad eroi o speranze di pace; tutto si infrange e crolla, rovinosamente, rendendo l’homo homini lupus. Alla fine rimane solo la morte, che raggiunge tutti silenziosamente o dolorosamente, che si indossi la croce ferrea o che si canti La Marseillaise.

A cura di Andrea Fiori