Nimic: sostituzione e sostituibilità

Un giorno come tanti: facciamo colazione in famiglia, andiamo al lavoro e poi torniamo. In metropolitana qualcuno ci chiede l’ora e all’improvviso prende il nostro posto. Diventa noi. Veniamo sostituiti senza una spiegazione e nessuno sembra accorgersene.

È questo ciò che racconta in soli dieci minuti Nimic, l’ultimo cortometraggio di Yorgos Lanthimos, un autore che si interessa da sempre alle dinamiche psicologiche e all’immaginario distopico. Cosa c’è di più spaventoso della perdita della propria identità? Forse il fatto che qualcun altro se ne appropri, la presa di coscienza di non essere più unici e insostituibili. Questa tematica è ricorrente in altri progetti del regista greco, primo fra tutti Alps del 2011: l’uomo contemporaneo è costretto a recitare una parte, un ruolo che non provoca mai una crisi, ma soltanto una sterile reiterazione. E in Nimic viene messa in scena proprio la fragilità di questo ruolo, la sua precarietà.

Nel suo saggio Eros in agonia, Byung-Chul Han descrive il mondo di oggi come un contenitore di individui uguali e intercambiabili, dove conta maggiormente la salvaguardia dell’io narcisistico piuttosto che lo scontro con un’alterità che non possiamo controllare fino in fondo. La donna in metropolitana imita tutto ciò che il protagonista fa e dice, senza slancio né espressività. La famiglia non è nemmeno più in grado di riconoscere chi sia il vero padre, i bambini si considerano troppo piccoli per capire, la moglie continua le sue attività quotidiane come se non fosse successo nulla. Ma cos’è successo, in realtà? Forse semplicemente il tempo è scaduto. La prima frase pronunciata dal protagonista è proprio “Do you have the time?”, come se le relazioni avessero un timer, gli affetti un countdown o i dialoghi una durata come in un copione. Tutto si sussegue senza che nessuno attui un cambiamento o prenda una decisione. La donna sostituisce l’uomo anche sul lavoro, suona il violoncello in un’orchestra come lui ma, pur essendo evidentemente fuori tempo, nessuno si accorge di niente. Siamo alienati, spenti, meccanici e non c’è soluzione.

L’imitazione produce quindi l’eliminazione del sé: mimic diventa nimicimitare è un’azione vuota. Nella parte finale tutto ricomincia con ciclicità, concetto rappresentato dall’uovo bollito ogni mattina e divorato dalla donna con occhi vitrei. In pochi minuti la regia condensa l’angoscia e l’inquietudine di un dramma esistenziale comune: sentirsi sostituibili, essere definiti dalla propria funzione per poi vedersela sottrarre.

A cura di Emma Onesti