Palm Trees and Power Lines: mai farsi dare un passaggio da uno sconosciuto
Epitome del film indipendente, Palm Trees and Power Lines è stato presentato al Sundance Festival, dove ha vinto per la miglior regia. Opera prima della regista Jamie Dack, protagonista sconosciuta di una bravura incalcolabile, la pellicola ci comunica la sua indipendenza al primo fotogramma: siamo negli Stati Uniti, in una città non specificata che rimane al di fuori delle più grandi e delle più rinomate, e la protagonista, Lea, è una ragazza di soli diciassette anni, che sta affrontando proprio quel momento dell’adolescenza in cui ci si sente soli contro il mondo. Esce con gli amici, che non considera veramente tali, si esclude dalle conversazioni perché non la divertono e non la interessano, anche se non sappiamo se la sua apatia sia genuina o frutto di snobismo. A casa ha un rapporto freddo con la madre, che è distratta, egocentrica, troppo accondiscendente e superficiale: a diciassette anni Lea può uscire senza avvisare, rimanere fuori la notte senza avvertire, controbattere a piacimento senza conseguenze.
Ma se c’è un’esattezza che esce dalla bocca di Tom, il ragazzo che appare nella vita di Lea e che la seduce, è che la protagonista mostra un’intelligenza superiore ai suoi coetanei. Del resto, una certa profondità d’animo non può esistere senza anche una profondità di intelletto: non ci si può interrogare sulla vita se non ci si rende conto di averne una, no? Tuttavia, la ragazza è, purtroppo, profondamente inesperta e necessiterebbe di una guida. Che in teoria ci sarebbe, la madre, se non fosse in tutt’altre faccende affaccendata. E quindi Lea si perde di fronte a questo sconosciuto, che di anni ne conta trentaquattro e di nome fa Tom, di cui non si sa nulla, a parte il fatto che guida un pickup american-style, cioè quelli che sono eccessivamente-tutto: grandi, costosi, brutti e inutili.
E a questo punto riaffiora alla mente l’iconica battuta di Aldo Raine in Bastardi Senza Gloria: «Quando senti una storia troppo bella per essere vera, non è vera». E anche se, nel film di Tarantino, la verità espressa da Raine è per una volta surclassata dalla risposta di Hans Landa: «Vero, ma di tanto in tanto, nelle pagine della storia, il fato si ferma a guardarti e ti tende la mano», in questo caso, possiamo con certezza affermare che il fato non si è fermato a tendere la mano a Lea. Tom la corteggia, la riempie di complimenti, non spinge mai sull’acceleratore, anzi: si comporta come un suo coetaneo, come uno alle prime armi. Lei cade in amore e si affranca dalla sua vera vita, che per quanto non la soddisfacesse, era comunque la realtà.
Jamie Dack, regista al primo lungometraggio, ci racconta una storia che purtroppo è frequente, soprattutto a causa dei livelli di emancipazione della gioventù statunitense. Il racconto non è tratto da alcuna storia e per questo motivo potrebbe essere quella di centinaia, se non migliaia di ragazze non ancora maggiorenni. Il film ha una fotografia molto accattivante, che ci immedesima nello stato d’animo di Lea, interpretata da una sconosciuta Lily McInerny, che è di una bravura abbacinante: la sua espressività, risaltata paradossalmente dal non averne una, dall’essere sempre impassibile, è tipica della stragrande maggioranza degli adolescenti. Ma, in quelle poche volte in cui sorride, è così autentica da farci capire davvero le sue potenzialità. Se dovessimo trovare una nota negativa, potremmo dire che il film, del 2022, presenta le classiche caratteristiche delle pellicole sue contemporanee. La storia è più o meno già vista; uno sfruttamento/perversione sessuale ci deve essere, sembra, quasi per contratto. Insomma, Palm Trees non è un capolavoro, ma sicuramente ha messo in evidenza diversi talenti, i cui nomi speriamo di sentire anche in futuro.
A cura di Alessandro Randi