L’altro Pasolini

È possibile riuscire a scandire le tappe del Pasolini cinematografico nel giro di poco più di un’ora? Questa è la sfida che si pone Giancarlo Scarchilli, alla sua ottava direzione in carriera. Il documentarista romano ripercorre un tratto di storia del nostro cinema e della nostra cultura, cercando di ricostruire il genio che ha scosso l’Italia, attraverso la folgorante – e in alcuni casi intima – mediazione di chi lo ha conosciuto e chi sta continuando a conoscerlo.

Pasolini è sicuramente una delle figure di intellettuale più complesse del secolo scorso. È quindi scontato dire che il documentario, per la sua ridotta portata, non si configuri come un mero riassunto di eventi, ma cerchi di trovare un lato ancora non affrontato del poeta bolognese. È proprio questo il concetto di Visione Nuova che è riportato nel titolo. Scarchilli sceglie di percorrere la via del Pasolini scopritore di talenti: una
strada certamente non trafficata attualmente, ma che, come si vedrà, è stata attraversata da molti in passato. Basterebbe pensare a Bernardo Bertolucci, che passa da poeta ad aiuto regista, prima di spiccare il volo verso più alte vette, e Franco Citti, imbianchino divenuto sceneggiatore e regista. Pasolini è il motore del loro cambiamento.

Il documentario si struttura come un mosaico di interventi, una collezione di aneddoti e di testimonianze. Più che un racconto è un ritratto indiretto, che viene costruito gradualmente attraverso le esperienze vissute dai suoi collaboratori e “discepoli”. Scarchilli è assai abile a decentralizzare la figura dell’intellettuale, lasciando trapelare dalle bocche altrui lati umani poco conosciuti, e contemporaneamente rendendo la sua immagine un leitmotiv onnipresente ma non ingombrante. Viviamo il Pasolini semplice e genuino che incontrò Citti, il rigido mecenate che stroncò Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, l’amico che Laura Betti protesse per tutta la vita. Ascoltiamo Vincenzo Cerami, Ennio Morricone, e Carlo Verdone. Ma ascoltiamo l’eco della sua influenza anche ai giorni nostri. Matteo Anastasi, giovane studioso, lo descrive come «una coscienza che non si è mai spenta», affermazione che rende meglio di tutte il carattere polarizzante e inestinguibile della sua influenza sull’Italia e sul nostro modo di vedere le cose.

Se da un lato la costituzione “a più voci” rende il documentario dinamico, dall’altro questa celerità risulta a volte eccessiva, legata in particolare al basso minutaggio che si concede la pellicola. Se non si conosce già la storia e il pensiero del poeta si rischia di saltare alcuni passaggi, dal momento che la natura frammentaria dell’opera impone un andamento non lineare, nonostante la scansione in capitoli. La velocità con cui viene trattata la quantità di informazioni potrebbe essere fraintesa per superficialità, forse acuita da qualche celebrazione di troppo, giustificata ma in alcuni casi fine a sé stessa.

Di certo si tratta di un’opera non per tutti e non di immediata comprensione. Il punto di forza è però la capacità di far emergere proprio quello spirito che sembra trapelare lateralmente dagli incontri con Pasolini, afferrabile ma difficilmente spiegabile. La forma e il contenuto fungono da innesco, da ponte, in grado di spaziare tra ieri e oggi, tra opera ed eredità del simbolo e dell’uomo Pier Paolo Pasolini.

A cura di Alessandro Cricca