Porco Rosso: guardando, senza fretta
L’opera di Hayao Miyazaki non ha certo bisogno di celebrazioni, né tantomeno di essere presentata. Gli stilemi li conosciamo tutti: mondi fantastici, straordinari, che pur rassomigliando la nostra realtà, al contempo se ne distaccano nettamente, in cui gatti fungono da autobus, o città intere sono abitate da fantasmi e spiriti, o maghi e streghe combattono su castelli meccanici semoventi. Ad una prima occhiata sorprende, quindi, che un’opera come Porco Rosso, ambientata sulle sponde della Dalmazia, che narra di un’alleanza di pirati per abbattere un aviatore che vive proprio di taglie sulla loro testa, il tutto nella cornice dell’avvento del regime fascista, possa provenire dallo stesso autore. Nonostante il protagonista sia un maiale antropomorfo, la trama sembra essere più concreta, più reale del solito, per un autore come Miyazaki.
In realtà, non bisogna farsi ingannare dalla sinossi: Porco Rosso è chiaramente un film di Miyazaki, e come tutte le sue opere ha un cuore, un’anima, e l’impronta del suo autore, brillante, celebrato, premiato con l’Oscar nel 2003, non ha bisogno di essere cercata, ma si rivela anche allo spettatore meno esperto man mano che la pellicola giunge al suo termine. Ciò che accomuna davvero le opere del fondatore dello studio Ghibli è la tendenza a rivolgersi al bambino che è nello spettatore, a donargli di nuovo la capacità di sorprendersi, di meravigliarsi. Questi film d’animazione, spesso esaltati quasi addirittura a sproposito, fanno comunque parte di una nicchia, quella dei film che vanno sentiti, più che visti. Porco Rosso, pur essendo evidentemente più plot-driven degli altri, conserva questa incredibile facoltà. Si potrebbe anche disquisire di come il ruolo della donna, il focus sul volo e la tematica della maledizione siano temi anch’essi cari al regista e disegnatore giapponese, ma è forse più interessante concentrarsi solamente sulla questione riguardante proprio lo stile, la messinscena, l’incredibile mescolanza di animazione, musica e sceneggiatura per cui lo Studio Ghibli sembra aver trovato la formula vincente, non solo per il successo commerciale, ma più virtuosamente per la produzione di opere complete, difficili da criticare.
A differenza di molti registi di fantasy, che si dimenticano di farlo oramai da un po’, Miyazaki ha la grande abilità di prendersi il suo tempo, soffermarsi sulle cose, sui dettagli, e Porco Rosso non fa eccezione: guardiamo spesso il luccicante aereo di Marco, le acque blu della Dalmazia, senza tuttavia mai annoiarci; si riscopre un senso di meraviglia spesso accantonato per concentrarci sulle trame, sulle storie. È forse una conseguenza dell’egemonia del cinema americano che non siamo più abituati a vedere sul grande schermo opere che non hanno fretta, che dedicano all’immagine il giusto tempo. A questo va poi ad aggiungersi la componente necessaria data dall’animazione, che abbellisce, migliora ed alle volte completa addirittura la realtà. E allora, come scoprendo pian piano la città di Spirited Away, o ammirando il castello del mago Howl camminare in mezzo a infinite praterie, anche guardando qualche rondinella di mare o un hotel in Dalmazia, cose che sono magari sì fuori dall’ordinario, ma comunque inevitabilmente reali, rimaniamo inebriati da un’energia che alla realtà manca, quella data dalla possibilità di esperire un’immagine, di assorbirla e contemplarla proprio perché completamente nuova, anche per qualcosa di così concreto.
Non sorprende, a questo punto, che Porco Rosso sia un film di Miyazaki, non solo per le tematiche care all’autore, anche qui riproposte, non solo per lo stile d’animazione, ma anche e soprattutto per la capacità incredibile di emozionare, prendendosi, tuttavia, tutto il tempo di questo mondo (e forse anche di un altro).
A cura di Francesco Colombo