Prisoners: spingersi al limite per la verità

L’amore incondizionato e disperato di un padre per la propria figlia è più forte di qualsiasi limite, minaccia o pericolo. Keller Dover (Hugh Jackman) è un genitore amorevole e responsabile, falegname nella rigida e rurale Pennsylvania. Il giorno del ringraziamento si trasforma, per le famiglie Dover e Birch, inaspettatamente, in una tragedia che abbandona le famiglie nella disperazione: le loro figlie spariscono nell’indifferenza totale. Fino a che punto è disposto a rischiare per mantener fede alla promessa di proteggerla contro i mali del mondo?

La pellicola diretta da Denis Villeneuve – e sceneggiata impeccabilmente da Aaron Guzikowski – sfida le più profonde paure umane, affrontando il dramma del rapimento, del dolore per la morte, l’angoscia dell’abbandono. Gli inquietanti e devastanti scenari del film aprono una dolorosa ferita nell’emotività dello spettatore, incalzato dal ritmo spettrale del film, fiducioso nel ritrovamento di Anna e angosciato dal comportamento di Keller, capace di tutto pur di ritrovare la propria figlia, persino di barattare la vita di un ostaggio pur di ottenere informazioni preziose.

Il risultato del lavoro di Villeneuve è coraggioso, ben riuscito e capace di accompagnare per ore lo spettatore in una disperata ricerca in cui persino noi ci sentiamo detective. La sensazione di impotenza e la straziante disperazione delle vittime traspare dalla prova attoriale, superata a pieni voti, di Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal, abituati a vestire i panni di protagonisti dall’animo tenebroso. Ma è soprattutto la performance del primo a stupire, spinta al limite nel folle rapporto con l’ostaggio, con un Paul Dano reso progressivamente irriconoscibile dalle percosse.

La disumana violenza del film non lascia spazio ad alcuna interpretazione di speranza e ottimismo, ma è comunque capace di trovare una chiusura positiva in quella che è una tragedia umana ed emotiva. Una lezione schietta e realistica, priva di filtri buonisti, che restituisce una radiografia schiacciante e angosciante del maligno che serpeggia. E proprio qui troviamo la coerenza del film: nella rinuncia al lieto fine denso di speranza, difficilmente conciliabile con le reali inquietudini che ognuno di noi prova nei confronti della paura.

A cura di Alessandro Benedetti