L’arte di modellare le scarpe (per massaggiare i piedi)
Partendo dall’autobiografia di Salvatore Ferragamo, Luca Guadagnino crea una sinfonia di immagini, di voci, di suoni, di luoghi e di ricordi, allo scopo di tenere viva la memoria del “calzolaio dei sogni” e, soprattutto, delle sue idee sulla moda che, al contrario di come se le immaginava, ormai vivono solo all’interno di un mondo elitario, mentre il resto è dominato e soffocato dall’industria del “fast fashion”.
Nel 1994 Quentin Tarantino, trasgredendo tutte le regole di sceneggiatura e di buon costume immaginabili, introduceva Jules Winnfield e Vincent Vega, i due iconici personaggi di Pulp Fiction, mettendo in scena un dialogo sulla forza seduttiva del massaggio ai piedi. Per Tarantino i piedi sono una componente fortemente erotica del corpo femminile e il massaggio di essi, un preludio ad un rapporto che, per forza di cose, diventerà fisico e carnale. Nello scoprire che il giovanissimo Salvatore Ferragamo già all’età di sette anni avesse un interesse smodato nei confronti degli arti inferiori (sia femminili che maschili), lo spettatore cerca subito di declinare quella curiosa ossessione secondo le conoscenze e i pensieri che la società stessa ha imposto.
Considerati inferiori, non solo per posizione ma anche per importanza, grazie al genio di Salvatore Ferragamo essi diventano, per la prima volta, la materia prima di un’artista, lo scultore per eccellenza del ventesimo secolo. Non è un caso che uno dei suoi più grandi traguardi, l’invenzione della zeppa, sia nato a partire dall’ispirazione di un materiale del tutto innovativo, il sughero. Egli però scelse questo materiale sia per motivi estetici che per quelli, ben più pragmatici, legati alla sua incredibile leggerezza. In lui infatti si può riscontrare quella dicotomia presente in figure come Leonardo Da Vinci, sempre tese tra ispirazione puramente artistica ed estro inventivo che, tramite lo studio profondo dell’anatomia, concede all’intera umanità nuovi mezzi per affrontare la vita di tutti i giorni.
Le sue scarpe infatti, oltre ad aver segnato l’immaginario cinematografico attraverso le gambe e i piedi di tutte le più grandi dive del cinema classico, americano e non solo, rappresentano un simbolo di emancipazione femminile che, indirettamente, segnerà un’evoluzione nello strettissimo rapporto tra immagine femminile e moda. Per far ciò, egli rimase fedele allo scopo che sin da sempre lo ha motivato nella sua arte e che segnerà una vera e propria rivoluzione nella moda: esaltare la bellezza estetica del piede senza compromettere la comodità della scarpa.
Se in alcune culture antiche, quali l’induismo e il buddismo, il calzolaio è visto come una figura mistica, capace di costruire scarpe magiche (delle quali abbiamo esempi pure nella cultura occidentale come la scarpa di cristallo di Cenerentola o le scarpette rosse di Judy Garland ne Il mago di Oz) che ci danno la possibilità di essere un’altra persona da noi stessi, l’immensa comodità, unita al valore estetico delle scarpe di Ferragamo ci hanno insegnato che la moda, più che permetterci di essere qualcun altro, ci consente di essere, senza compromessi, noi stessi.
Per veicolare la sua arte e le solidissime idee teoriche da cui nasce, Guadagnino raduna le parole di una grandissima quantità di intervistati (dai familiari, a star come Martin Scorsese) che, proprio per la loro appartenenza ad ambiti diversi tra loro, rendono l’idea della capillarità e dell’importanza del genio di Salvatore Ferragamo.
A cura di Enrico Nicolosi