Sanctuary: in bilico tra verità e finzione

Un caschetto biondo le nasconde la riccia chioma corvina. Rebecca, spudorata femme fatale, è una dominatrice di professione. Tra i suoi clienti c’è anche Hal, giovane rampollo di una ricca famiglia e prossimo amministratore delegato della catena d’alberghi del padre. Sanctuary, secondo lungometraggio di Zachary Wigon, esplora la torbida relazione tra i due e mette in scena un sofisticato gioco al massacro che oscilla tra ricatti calibrati e follia sregolata.

Grazie al rapporto con Rebecca, Hal dà sfogo alle sue fantasie sessuali ed esplora i propri traumi irrisolti, in particolare quelli legati al complicato rapporto col padre, che, morendo, ha lasciato una cospicua eredità e un modello di uomo irraggiungibile. Le perversioni del ragazzo, però, si manifestano solo nell’intimità celata di una camera, laico sancta sanctorum di un tempio a cui può accedere solo una sacerdotessa dell’umiliazione come Rebecca.

Sanctuary, infatti, è un film dagli spazi teatrali e le sue vicende si svolgono quasi esclusivamente nelle stanze di un hotel, le cui pareti color rosso pompeiano e ottanio sono bagnate dalla luce calda delle lampade. Lo stesso regista, consapevole del rischio che il film potesse risultare «uno spettacolo teatrale filmato», ha cercato di spingere al massimo le possibilità della videocamera verso l’espressionismo stilistico.

Ma la componente teatrale di Sanctuary è forse riscontrabile anche in un altro aspetto del film, ossia quello che indaga il rapporto tra il vero e il falso. L’intreccio tra realtà e finzione, che sul palcoscenico si esplicita nella relazione tra «la materia reale» degli attori e «la materia di sogno» dei personaggi, costituisce la magia stessa del teatro. Se però a teatro è facile distinguere la prima dalla seconda, nel film di Zachary Wigon non si riesce a chiarire cosa sia recitato e cosa sia reale nella relazione tra Hal e Rebecca.

Lui, infatti, è drammaturgo del suo stesso dolore, perché fornisce dei dettagliati copioni alla donna, la quale, con una discreta prova attoriale, indossa i panni di una mistress spietata che annichilisce il proprio schiavo e gli concede momenti di piacere solo in maniera centellinata. Lei, invece, che è in una posizione di potere solo durante le sessioni di dominazione, dapprima cerca di ribaltare i rapporti di forza con Hal ricattandolo, e poi gli confessa di aver persino lasciato il proprio ragazzo per dedicarsi solo a lui, nei confronti del quale è evidente che provi qualcosa che va oltre il mero aspetto lavorativo.

Pur costringendo una vicenda turbolenta entro lo spazio angusto di una camera d’hotel, Sanctuary è un film che si diverte ad esplorare la strada percorribile tra gli estremi, dal lecito all’illecito, dalla verità alla finzione, dal potere alla sottomissione, e lo fa seducendo lo spettatore con una pellicola raffinata e coinvolgente.

A cura di Mattia Rizzi