Scompartimento n. 6 – In viaggio con il destino: il calore della condivisione
Liberamente adattato dal romanzo della scrittrice finlandese Rosa Liksom e ambientato tra gli anni ’80 e ’90, come suggeriscono la videocamera a cassette della protagonista, gli interni e le canzoni diegetiche (nonché l’espediente del 35mm utilizzato dal regista, che contribuisce anche al tono onirico che spesso la narrazione sembra assumere), il film segue il viaggio di Laura, studentessa di archeologia, verso un sito di antichi petroglifi, ma anche e soprattutto all’interno di sé stessa. Ferita dallo scarso coinvolgimento emotivo della sua compagna Irina, decide di intraprendere questo viaggio senza di lei; sul treno che la porterà a destinazione è costretta a condividere la cuccetta con Ljoha, un ragazzo dall’aspetto poco raccomandabile che, sotto l’effetto dell’alcol, si mostra volgare, sgradevole e invadente al punto da risultare molesto.
I due non potrebbero essere più diversi: lei finlandese e lui russo; lei riservata e lui curioso; lei dotata di un certo livello di cultura e lui un umile minatore che non comprende l’importanza storica delle incisioni rupestri e non riesce nemmeno a ricordarne il nome. Ma contro ogni previsione, più le ore passano e più lo spazio angusto dello scompartimento fa avvicinare due anime che in qualsiasi altro contesto si sarebbero evitate come la peste. Ljoha si rivela essere una persona altruista che a modo suo sa ascoltare, e Laura passa dall’essere infastidita dalla sua presenza al non poter fare a meno di sorridere mentre lo guarda, divertita e intenerita dal suo fare rozzo e infantile. La sua compagnia diventa quasi rassicurante, forse proprio grazie alle loro differenze e al fatto che lui sia completamente estraneo alla sofisticata élite intellettuale di Irina, di cui Laura desiderava far parte ma in cui in fondo sa di non essere mai stata a proprio agio.
Vediamo spesso la ragazza volgersi malinconicamente al passato che si sta lasciando alle spalle, riguardando i filmati realizzati a Mosca e cercando continuamente un contatto telefonico, a volte senza ricevere risposta; persino i petroglifi, segni concreti del nostro passato sopravvissuti allo scorrere inesorabile del tempo, sembrano irraggiungibili. «Sembra tutto troppo lontano», dice Laura. L’unico modo che ha di raggiungere il sito è con l’aiuto di Ljoha, ed è qui che capiamo che la destinazione, in realtà, non ha mai avuto così tanta importanza: i disegni non vengono nemmeno inquadrati, non c’è nessun momento di climax emotivo in cui vediamo il volto meravigliato della protagonista. È il viaggio stesso che conta davvero, le persone incontrate, le esperienze condivise, le barriere superate all’interno di questa anticonvenzionale storia d’amore platonico.
Una delle cose che più colpiscono della pellicola di Kuosmanen è la genuinità di cui è intrisa, veicolata da dialoghi asciutti ma credibili, dalla scarsità di cliché narrativi e da due protagonisti (egregiamente interpretati) dall’aspetto assolutamente comune, con cicatrici e borse sotto agli occhi che li rendono ancora più veri; ma soprattutto da un’introspezione curata, accompagnata dal ritmo lento della narrazione e dai primissimi piani. Il regista dimostra anche un certo talento evocativo con ambientazioni cupe e/o claustrofobiche, spesso vicine al degrado, avvolte dal gelo dell’inverno.
A cura di Melissa Marsili