Lydia Tár: storia di una donna al vertice
«Time is the thing. You cannot start without me». Le parole pronunciate da Lydia Tár, programmatiche e lapidarie, aiutano a inquadrare il personaggio: direttrice della prestigiosa Filarmonica di Berlino, Lydia Tár ha sfondato il soffitto di cristallo ma non è stata in grado di liberarsi dalle logiche di una società viziata. Affermata donna di potere, è perfettamente consapevole del peso che deriva dal ruolo che ricopre e dell’influenza che può esercitare sulle altre persone. L’ultimo lungometraggio di Todd Field ne ricostruisce con attenzione la parabola discendente, dal successo più scintillante fino ad un esilio miserevole e senza gloria.
Lento e verboso nella prima parte, Tár prosegue in maniera sempre più coinvolgente, trascinando lo spettatore al ritmo di una melodia abilmente diretta da Lydia. Donna bifronte capace di crudeltà gratuite o di gesti amorevoli, la direttrice seduce infatti chiunque la circondi in pubblico. L’interpretazione magistrale di Cate Blanchett, su cui si regge l’intero film, ci regala un personaggio talmente completo e sfaccettato da sembrare reale e non solo immaginario. Piene di pathos le scene durante le quali l’attrice si scatena nella conduzione dell’orchestra, sequenze raffinate che aprono uno squarcio su un universo misterioso. Infatti, tra l’impiego della lingua tedesca, idioma con cui Tár si rivolge ai suoi musicisti, e i tecnicismi propri di una disciplina del genere, spesso si ha l’impressione di rimanere solo sulla soglia di un mondo a cui pochi possono accedere.
Dalla cancel culture alle conseguenze della diffamazione online, Tár è un film che sfiora temi molto caldi e al centro del dibattito contemporaneo. Il cuore della pellicola, però, è la riflessione sul potere. Una volta al vertice, infatti, sfruttando la propria influenza carismatica e abusando della sua autorità, Lydia Tár si macchia degli stessi comportamenti deplorevoli solitamente messi in atto da uomini influenti. È evidente che parte del problema stia nella società fortemente patriarcale, fondata su logiche sbagliate e dannose per tutti; logiche che sono state introiettate dalla stessa Lydia, la quale, all’interno di una coppia omossessuale, si presenta come il «padre» di sua figlia. Ma il regista sembra invitarci ad approfondire anche un’altra questione, ossia il logorio che deriva dal potere in sé, indipendentemente da chi lo detiene. Accecati e avvelenati da esso, infatti, donne e uomini si approfittano di chi occupa posizioni inferiori e abusano di loro, spesso portandoli a compiere gesti estremi.
E poco importa se Lydia Tár è terribilmente brava in quello che fa, posseduta da quella manìa antica che si manifesta durante le sue esibizioni. Alla fine la pena da scontare arriva per tutti. Il cinismo delle azioni di Lydia non può restare impunito e la stessa direttrice sembra sviluppare anche un larvato senso di colpa. Chissà quanti spettatori alla fine del film, in virtù della sublime prova attoriale di Cate Blanchett, avranno provato empatia per una sì donna colpevole ma ormai relegata ai confini del mondo.
A cura di Mattia Rizzi