The Elephant Man: il cuore gentile di un “Freak”
Un uomo deforme affetto dalla sindrome di Proteo, causa di vistose deformità fisiche, viene sfruttato come fenomeno da baraccone in un circo dall’avido Bytes, che lo battezza come “L’uomo elefante”. Quando il dottor Treves (Anthony Hopkins) sarà costretto a visitarlo, a seguito di complicazioni respiratorie, si accorgerà di essere di fronte ad un autentico essere umano, dotato di grande intelletto e di una struggente sensibilità.
David Lynch, alle prese con la sua seconda opera, si adagia sulla biografia di John Merrick (John Hart) con estremo rispetto, mostrando tutta la potenza delle immagini per disegnare una parabola umana che condanna i pregiudizi e le malvagità dell’uomo. Le dimensioni oniriche, care al regista, seppur meno presenti rispetto al resto della sua filmografia, sono cariche di una potenza narrativa che guarda con ammirazione al cinema di Bergman, così come l’universo circense non può che ricordare il cinema di Fellini (entrambi i maestri sono dichiaratamente un suo punto di riferimento artistico). Probabilmente, la scelta di accantonare la messa in scena delle dimensioni oniriche è dettata dalla volontà di raccontare la dolorosa realtà che vive Merrick: un incubo perenne da cui non ci si può svegliare.
Il film pone delle domande precise e smuove l’animo dello spettatore invitandolo a fare i conti con sé stesso, poiché i temi del pregiudizio, delle apparenze e della scelta tra essere buoni o cattivi sono sempre di fronte agli occhi del pubblico. Entriamo in perfetta simbiosi con il dottor Treves, quando dubita del fatto che possa realmente aver aiutato John Merrick, oppure, al contrario, abbia accentuato la sua condizione di “Freak” (“scherzo della natura”) sotto una luce ancora più accecante, dinanzi alla comunità scientifica e non solo.
The Elephant Man è ambientato a Londra nella seconda metà dell’Ottocento, girato in pellicola 35mm e in un bianco e nero strepitoso, perfettamente coerente con il racconto di una società industriale incolore, grigia, nebulosa, amorale e brutale. Infatti, la presenza dei suoni striduli dei macchinari da lavoro e le canne fumanti dei camini che rilasciano una nube nera, tossica, che si dipana nell’aria, sono un sottile simbolismo da decifrare come provocazione rivolta a una società fortemente propensa al progresso economico e industriale, incapace però di progredire dal punto di vista umano. Dunque, quella di Lynch è una critica sociale risonante la quale provoca un’onda d’urto che colpisce anche la società attuale: l’avanzamento tecnologico, perciò, non è sempre sintomo di positività o di benessere, bensì distruzione dell’etica e della morale, in quanto le istituzioni accantonano sempre di più i diritti e le esigenze degli esseri umani.
«Non sono un animale, sono un essere umano!»: urlerà “l’uomo elefante” in faccia a un gruppo di persone che lo braccano all’interno di una stazione ferroviaria. L’aspetto fisico di Merrick, però, passerà presto in secondo piano, poiché la sua volontà di affermarsi come uomo, facendosi spazio tra una massa che lo denigra, è la dimostrazione di un vero e proprio atto eroico che gli permetterà di godere delle cose semplici della vita, quelle essenziali per sentirsi felice: l’affetto di un amico, il bacio di una donna, l’arte e il teatro.
D’altronde, si dice che un grande autore faccia un film unico per tutta la vita. David Lynch mostra la visione di un mondo in bilico tra il bene e il male, le due forze che regolano le nostre esistenze, da cui non possiamo sottrarci, un mondo che il più delle volte distoglie il nostro sguardo dall’unica spinta vitale in grado di elevarci: l’amore universale. I personaggi di Lynch sono alla ricerca dell’amore autentico che ci permette di raggiungere una pienezza emotiva, proprio perché non esiste uno status sentimentale in grado di soddisfarci quanto la consapevolezza di amare profondamente e di sentirsi amati.
Il film ha ricevuto otto nomination ai premi Oscar senza riuscire a vincerne nemmeno uno. Questo giudizio di critica non priva però The Elephant Man di tutta la sua mastodontica magnificenza, poiché David Lynch, tra i registi più ammirati della settima arte, realizza uno dei film più memorabili della storia del cinema.
A cura di Matteo Malaisi